L’arresto americano di Mona Eltahawy
La giornalista che era stata arrestata e picchiata dalla polizia al Cairo è stata ammanettata e fermata a New York per aver cercato di cancellare un manifesto antimusulmano
Mona Eltahawy è una giornalista di origini egiziane che da anni lavora negli Stati Uniti, collaborando con molti grandi quotidiani e partecipando spesso a dibattiti televisivi. Si occupa principalmente di Egitto e della condizione femminile nei paesi arabi. Due giorni fa è stata arrestata per aver coperto con lo spray un manifesto antimusulmano affisso nella metropolitana di New York.
Il manifesto dice «In ogni guerra tra l’uomo civilizzato e il selvaggio, sostieni l’uomo civilizzato» e, sotto questo grande slogan scritto in bianco, «Sostieni Israele. Combatti il jihad». È stato prodotto dal gruppo antimusulmano di estrema destra American Freedom Defense Initiative (AFDI), che negli ultimi giorni ha fatto affiggere i manifesti in dieci stazioni della metropolitana di New York scatenando molte proteste.
Il New York Post ha pubblicato un video in cui Eltahawy inizia a ricoprire con uno spray di colore rosa un manifesto nella stazione della metropolitana di New York di Times Square. Subito dopo ha un confronto con una donna, Pamela Hall, che reggendo una telecamera, si mette tra lei e il manifesto e chiede se secondo lei «ha il diritto» di ricoprirlo. Eltahawy risponde di averne il diritto e che tanto il manifesto quanto la sua “azione” sono manifestazioni del diritto di espressione.
L’azione – svoltasi martedì – era stata annunciata da Eltahawy sul suo profilo Twitter e vi si sono presentati alcuni rappresentanti della stampa. Le due donne si spintonano – Hall rimane tra la giornalista e il poster, prendendosi parecchio spray addosso – fino a quando arrivano due agenti della polizia di New York che ammanettano Eltahawy, la dichiarano in arresto e la portano via senza rispondere alle sue domande sul motivo dell’arresto.
La controversa campagna di manifesti sponsorizzata dall’AFDI è stata anche al centro di una disputa giuridica, dato che la stessa Metropolitan Transportation Authority dello stato di New York non voleva inizialmente permettere la loro affissione. Ma un giudice ha concluso che le affermazioni del poster sono “politiche” e protette dal celebre Primo emendamento della Costituzione americana, quello che garantisce la libertà di espressione. L’AFDI è un’associazione fondata da Pamela Geller e Robert Spencer, due opinionisti e scrittori celebri negli Stati Uniti per le loro posizioni violentemente antimusulmane.
Dopo la decisione del giudice, i primi poster sono comparsi lunedì 24 settembre: la mattina dopo, molti erano stati modificati e coperti in vario modo. Altre proteste sono stati un hashtag su Twitter e adesivi che prendevano in giro il messaggio del poster.
Mona Eltahawy è stata incriminata formalmente per condotta criminale e per i graffiti sulle proprietà della metropolitana. Dopo molte ore (22, secondo la giornalista) è stata rilasciata (dovrà tornare in tribunale il 29 novembre) e ha scritto su Twitter di essere “fiera” della propria azione contro “quel poster razzista di merda”, ripetendo l’opinione che la protesta sia una manifestazione di libero pensiero protetta dalla Costituzione.
I am proud that I spray painted that racist piece of shit poster. It’s protected speech and what I did us also protected speech. ##NYC
— Mona Eltahawy (@monaeltahawy) Settembre 26, 2012
Mona Eltahawy ha 45 anni e ha vissuto nel Regno Unito, in Arabia Saudita e in Israele, prima di stabilirsi negli Stati Uniti nel 2000. Negli anni Novanta è stata corrispondente per l’agenzia di stampa Reuters dal Cairo e da Gerusalemme. Nella sua attività di giornalista ha scritto editoriali e analisi sulla condizione femminile nei paesi arabi e sulla situazione politica e sociale in Egitto, apparsi su molti importanti giornali egiziani e occidentali, dal Guardian al New York Times.
A novembre 2011, Eltahawy era stata arrestata al Cairo mentre seguiva le proteste di piazza egiziane. Denunciò, prima su Twitter e poi tramite un’intervista a una tv egiziana, di essere rimasta per circa 12 ore nelle mani delle forze di sicurezza della giunta militare e di essere stata picchiata e molestata.