Il problema con la pesca
Un articolo su BBC Future analizza lo stato attuale dei mari e spiega perché tra pochi anni potrebbe non esserci più nulla da pescare
Il problema della pesca intensiva nel mondo e della conseguente prospettiva dell’esaurimento delle risorse ittiche lo si sente nominare da anni e, proprio questa settimana, è stato rilanciato da un dato, ripreso dal Telegraph, secondo il quale nel Mare del Nord ci sarebbero in questo momento meno di 100 esemplari di merluzzo che superano i 13 anni di età (i merluzzi possono arrivare a vivere più di 20 anni). Al di là dello shock che può provocare l’idea della presenza di un numero così basso di pesci adulti in un’area così vasta di mare (circa 750mila chilometri quadrati), il vero problema è che questi esemplari, per età e per grandezza, sono decisivi per il mantenimento in vita della specie e per la sua moltiplicazione.
Questo dato, però, è soltanto l’ennesima spia – spiega un articolo della giornalista scientifica Gaia Vince, pubblicato su BBC Future – di come gli oceani e i mari del pianeta, sempre più sfruttati dal mercato ittico, si stiano spopolando, rendendo sempre più credibile la possibilità che nell’arco di pochi decenni la pesca in mare scompaia del tutto. I pesci, scrive Vince, sono gli ultimi animali selvatici che l’uomo caccia ancora massicciamente, e lo fa sempre di più, con tecniche molto più invasive e rese molto più ingenti rispetto a qualche decennio fa.
Anche la produzione in allevamento di pesce, che rappresenta più della metà del pesce consumato in tutto il mondo, spiega Vince, presenta dei gravi problemi in gran parte dovuti alla scala industriale degli allevamenti. Pesci come il salmone o il tonno, che possono essere allevati in cattività, devono essere alimentati con altro pesce – acciughe e sardine, per esempio – in quantità enormi, visto che salmoni e tonni mangiano circa 20 volte il loro peso.
Secondo un rapporto pubblicato dal FAO l’anno scorso, la quantità di pesce mangiato in media dalla popolazione mondiale nel 2011 è stato di 17 chili pro capite. Circa 4 volte di più di quanto era nel 1950, scrive Vince, che aggiunge al bilancio un dato impressionante: più o meno l’85 per cento dele risorse ittiche mondiali in questo momento è sovrasfruttato, impoverito, completamente sfruttato o in fase di recupero dallo sfruttamento intensivo.
Mentre intere porzioni del Mare del Nord e del Mediterraneo assomigliano sempre più a deserti marini, scrive Vince, il resto delle acque mondiali non se la passa meglio. A causa dell’impoverimento delle acque europee, infatti, il mercato dell’Unione Europea si mantiene per un quarto con il pesce pescato all’estero. La maggior parte di questo pesce importato proviene dalle coste dell’Africa occidentale, che per più di metà sono già sfruttate ben al di sopra delle loro possibilità, con gravi ricadute anche sui paesi della zona, la cui economia si basa in modo sostanziale proprio sulla pesca.
Nel Pacifico la situazione non è molto migliore. Secondo quanto scrive Vince, infatti, ci si aspetta entro il 2050 una diminuzione della resa ittica delle acque del Pacifico che si aggira intorno al 40 per cento. E il problema è ancora più serio, visto che gran parte delle popolazioni che vivono in quelle aree stanno aumentando vistosamente il consumo di pesce pro capite, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici di questi anni, che hanno impoverito i terreni di coltura.
Un altro fenomeno che ha effetti devastanti sull’ecosistema marino degli oceani è la progressiva scomparsa dei predatori, a partire dai grandi predatori come gli squali, il cui numero si è ridotto dell’80 per cento negli ultimi anni. La conseguenza principale di questo squilibrio della catena alimentare è la proliferazione esponenziale di specie che occupano un posto intermedio nella catena alimentare: se queste si moltiplicano, a rischiare la scomparsa sono poi le loro prede, come ad esempio il plancton.
Secondo Gaia Vince qualche cosa da fare ci sarebbe per evitare il peggio: il cambiamento delle modalità di pesca industriale utilizzate negli ultimi anni, il ritorno a una dimensione di pesca sostenibile, l’allargamento delle aree marine protette e l’ideazione di aree protette “mobili” in grado di seguire gli spostamenti delle specie marine in pericolo di estinzione.
Foto: S.KODIKARA/AFP/Getty Images