I guai del Guardian
L'Economist scrive che il più famoso giornale della sinistra inglese è in crisi economica e sta pensando di far pagare le notizie online
Il mese scorso il Guardian Media Group, la società che controlla il Guardian, ha annunciato perdite pari a 76 milioni di sterline (95 milioni di euro), 54 milioni delle quali arrivavano proprio dal giornale. L’amministratore del gruppo, Andrew Miller, ha annunciato tagli per 25 milioni di sterline e la vendita del settore radio del gruppo. Ma alleggerire il gruppo non è così facile, spiega l’Economist in un articolo dedicato ai guai del giornale.
Una settimana fa la società ha dovuto abbandonare un piano di incentivi alle dimissioni volontarie che non era riuscito ad attirare, come da programma, cento dipendenti. Visti i costi da ridurre e la volontà dell’amministratore delegato, ne potrebbe nascere un conflitto con i sindacati: una prospettiva, scrive l’Economist, poco confortevole per un giornale che «pende a sinistra».
Moltissimi giornali in tutto il mondo hanno buchi nel bilancio a causa della diminuzione delle copie vendute, ma il Guardian più di altri, per diversi motivi. Si tratta di uno dei quotidiani con i lettori più giovani di tutto il Regno Unito e quindi l’emorragia dalla copia cartacea alla versione online è più marcata. Non è un caso se il sito del Guardian è il terzo sito di un quotidiano più visitato al mondo, dopo quelli del Daily Mail e del New York Times.
Ma un lettore online frutta alla società molto meno di uno che compra una copia cartacea. Le tariffe pubblicitarie in Inghilterra sono al momento di 7-9 sterline (tra gli 8,75 e gli 11,25 euro) ogni 1.000 pagine viste, e nell’ultimo anno hanno portato ricavi per 17 milioni di sterline (oltre 21 milioni di euro). Nemmeno metà del totale dei ricavi complessivi dall’online: 46 milioni di sterline, che arrivano anche da servizi come download di applicazioni e appuntamenti online.
Per forza di cose, quindi, la compagnia sta pensando di rendere il sito a pagamento, la strada seguita dal New York Times, che oggi può contare, secondo alcune stime, su più di 500 mila abbonati online, più che abbastanza per ripianare le perdite nella diffusione delle copie cartacee. Miller ha dichiarato che non è contrario all’idea di rendere il sito a pagamento, ma il direttore del giornale, Alan Rusbridger, ha già detto che il progetto è in conflitto con l’anima liberal del giornale.
In ogni caso, per quanto siano gravi le difficoltà del giornale, non c’è urgenza nel prendere una decisione. Il Guardian Media Group ha alle sue spalle lo Scott Trust, un fondo d’investimento creato nel 1936 dal fondatore del Guardian e che serve a mantenere il giornale “in perpetuo”. Il fondo oggi ha una dotazione di 250 milioni di sterline in liquidi e possiede altre partecipazioni che potrebbero essere liquidate per altri 500 milioni di sterline. Quindi il Guardian potrà affrontare come minimo altri 10 anni di perdite come quelle avute nel 2011, prima di essere costretto a decidere se tagliare posti di lavoro o rendere il suo sito a pagamento: ma l’Economist conclude che prima o poi verrà il momento di prendere decisioni importanti.