L’abolizione del “Don’t ask don’t tell” ha fatto bene all’esercito americano
Da una ricerca descritta su Slate un'ulteriore prova che estendere i diritti dei gay non danneggia gli etero, anzi
Nel dicembre del 2010 gli Stati Uniti avviarono le pratiche legali per abolire il cosiddetto “don’t ask don’t tell”, la legge che permetteva agli omosessuali di arruolarsi nelle forze armate solo a patto che tenessero segreto il proprio orientamento sessuale (venendo espulsi se scoperti omosessuali). La norma è stata effettivamente cancellata il 20 settembre 2011. Un anno dopo, Nathaniel Frank racconta su Slate i risultati di una ricerca della University of California di Los Angeles, che ha condotto insieme a professori da tutte le accademie militari americane per stabilire se l’abolizione del “don’t ask don’t tell” abbia avuto conseguenze negative nelle forze armate.
L’abolizione del “don’t ask don’t tell” fu molto sostenuta dall’amministrazione Obama e dal partito democratico ma fu avversata – con toni allarmisti e apocalittici – da gran parte degli esponenti repubblicani e alcuni funzionari di alto grado dell’esercito. Il senatore repubblicano John McCain, dopo aver cambiato opinione molte volte, disse che l’abolizione del “don’t ask don’t tell” avrebbe provocato «un gran danno» all’esercito. Il comandante dei Marines sostenne che sarebbe «costata vite dei Marines». Molti sostennero che «alla fine le vite dei civili ne avrebbero risentito», che il morale delle truppe sarebbe peggiorato o ancora che 500.000 soldati si sarebbero dimessi per protesta. I sostenitori dei diritti civili ricordavano che non esistono prove di conseguenze negative del servizio di gay dichiarati nell’esercito, mentre ricerche condotte in altri paesi suggerivano il contrario.
(La fine del “don’t ask don’t tell” in una foto)
La ricerca raccontata da Slate è molto ampia e ha preso in considerazione il parere di molti soldati in attività e in pensione, esperti e funzionari militari. Frank e gli altri studiosi hanno intervistato 200 soldati in servizio prima e dopo l’abolizione della legge, chiedendo le loro opinioni a proposito della coesione della loro unità, e li ha poi confrontati. Hanno anche analizzato dati sul reclutamento e la permanenza nell’esercito e moltissimi articoli di giornale, intervistato soldati e funzionari contrari all’estensione dei diritti agli omosessuali e scritto agli oltre 500 generali in pensione che nel 2009 firmarono una lettera secondo cui l’abolizione del “don’t ask don’t tell” avrebbe «minato il reclutamento e la permanenza nell’esercito dei soldati, provocato conseguenze negative nella catena di comando, scoraggiato i genitori che indirizzavano i figli e le figlie al servizio militare e, alla fine, distrutto il servizio volontario».
Frank spiega che «è stato facile concludere le nostre ricerche dicendo l’abolizione del “don’t ask don’t tell” non ha causato alcun danno. Ma pensiamo di poter andare oltre e sostenere che dopo la fine del divieto sulla presenza di gay dichiarati nell’esercito, l’istituzione è migliorata e non solo per le persone gay ma per tutti, per l’esercito in generale». Frank spiega infatti che permettere ai soldati gay di mostrarsi per quello che sono favorisce i rapporti tra i militari di pari grado, rafforza la leadership e la disciplina. Questo aspetto emerge in molte delle interviste per cui la maggiore onestà e autenticità tra i soldati ha «migliorato la comprensione, il rispetto e l’accoglienza». Ora i comandanti sono in grado di comprendere e rispondere meglio ai bisogni dei loro sottoposti, dal momento che possono parlare liberamente.
Prima, per esempio, i superiori non facevano mai domande personali per timore di scoprire l’omosessualità dei soldati, che avrebbero dovuto denunciare provocandone l’espulsione dall’esercito. Inoltre i maltrattamenti verso i soldati gay sono più facili da segnalare e denunciare, ora che le vittime non perdono il lavoro venendo allo scoperto. La presenza di soldati gay dichiarati ha anche promosso comportamenti più rispettosi, permettendo ai militari omosessuali di lavorare in modo più rilassato senza il continuo timore di venire scoperti e favorendo un clima meno teso e sospettoso.
La ricerca, conclude Frank, dunque è un’ulteriore prova che smentisce la radicata opinione che allargare i diritti alle persone omosessuali danneggerebbe gli eterosessuali. È un risultato rilevante in un momento in cui in gran parte degli Stati Uniti – e in molti altri paesi al mondo – si continua a discutere sulla minaccia rappresentata dai matrimoni gay nei confronti dei bambini e delle famiglie eterosessuali.
foto: Chip Somodevilla/Getty Images