La crisi della carne di maiale
La siccità fa aumentare i prezzi dei cereali, allevare i maiali costa di più, molti vengono abbattuti e i prezzi aumentano per quasi tutti
In Europa, negli ultimi mesi, c’è stato un forte calo nell’offerta di pancetta e di carne suina, e in molti casi – fatta eccezione per la grande distribuzione organizzata – i prezzi per i consumatori sono aumentati. Questa situazione è stata determinata dall’aumento dei prezzi dei cereali, soia e grano soprattutto, dovuta alla siccità. Sono aumentati i prezzi dei mangimi e molti allevatori hanno dovuto abbattere i loro animali perché non erano più in grado di mantenere gli allevamenti delle attuali dimensioni.
Si tratta di una tendenza non solo europea, ma che coinvolge anche il mercato di altri paesi. Di questa crisi hanno risentito soprattutto la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, tra i più grandi consumatori di pancetta e carne di maiale, costretti in alcuni casi a dover vendere sempre di più carne proveniente da altri paesi o a delocalizzarne la produzione. Si tratta di un processo che al momento appare senza soluzione: i rivenditori non possono aumentare i prezzi, già alti di solito per la carne di maiale, e non sono quindi in grado di pagare di più i produttori e gli allevatori.
L’associazione nazionale britannica dei produttori di carne suina (NPA) ha stimato che nel Regno Unito potrebbe esserci quest’anno un calo della produzione del 20 per cento e un calo conseguente delle attività. Il patrimonio suino del paese negli ultimi dieci anni è stato dimezzato e 420mila scrofe sono state abbattute. Nel Regno Unito dall’inizio dell’anno sono state abbattute circa ottomila scrofe per fermare la riproduzione, perché gli allevatori non sono più in grado di comprare il mangime. Negli Stati Uniti, a luglio di quest’anno, ne sono state abbattute il cinque per cento in più rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Il ministero dell’Agricoltura ha fatto sapere che la produzione locale diminuirà anche l’anno prossimo dell’1,3 per cento.
Dal giugno del 2011 al giugno del 2012 il numero di allevamenti di maiali è diminuito, nei vari paesi, dall’1 per cento al 10 per cento: oltre alla Gran Bretagna, c’è stato un calo del 9,6 per cento in Polonia, seguita da Svezia e Irlanda. Gli allevatori hanno perso molti soldi, sia per il calo delle vendite in generale sia per il rapporto costo/guadagno su ogni singolo maiale.
A pesare sulla prima parte della filiera industriale, quella che riguarda allevatori e rivenditori, c’è anche la mancata volontà da parte della grande distribuzione di aumentare i prezzi nei supermercati, per non far calare le vendite. I costi iniziali sono aumentati ma i dettaglianti comprano la carne suina, dai produttori, agli stessi prezzi. Con i prezzi attuali la maggior parte dei rivenditori non riesce a vendere tutta la carne acquistata dai produttori e quindi non sono in grado di pagare i costi aggiuntivi dei produttori.
Inoltre l’Unione Europea ha vietato, a partire dal primo gennaio prossimo, la vendita della carne di maiale nei mercati all’ingrosso. Si tratta di una norma che, a oggi, esiste soltanto nel Regno Unito, dal 1999. Secondo Zoe Davies della NPA, nel Regno Unito la norma ha avuto un impatto «devastante» per l’intera filiera, a causa dell’aumento dei costi soprattutto per i rivenditori. In molti casi i rivenditori al dettaglio hanno dovuto sostituire la carne suina locale con quella più economica proveniente da altri paesi europei. Negli Stati Uniti la crisi della carne suina si ripercuote soprattutto nelle vendite di pancetta. I rappresentanti dell’industria suina e del pollame hanno chiesto alle autorità di sospendere la produzione di etanolo, un combustibile, con i cereali: così che ce ne possano essere di più disponibili come mangimi, e poter arrestare l’ascesa dei prezzi.
Foto: Joern Pollex/Getty Images