«Non sono l’uomo nero»
Dopo le polemiche sulla rinuncia a "Fabbrica Italia", Sergio Marchionne spiega in un'intervista con Ezio Mauro che FIAT non lascerà l'Italia
Il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, ha intervistato Sergio Marchionne, dopo il comunicato di venerdì scorso in cui l’amministratore delegato della FIAT annunciava che il progetto Fabbrica Italia non era più attuale. Le dichiarazioni erano state interpretate come il definitivo abbandono del piano di investimenti contenuti nel progetto e questo ha causato molte reazioni critiche. Ma oggi, il titolo in prima pagina di Repubblica è “La Fiat resterà in Italia”: Marchionne spiega che si sta “utilizzando il nome della FIAT per ragioni solo politiche”, che “ognuno deve fare la sua parte”, che la casa automobilistica “sta accumulando perdite per 700 milioni in Europa” e che “sta reggendo” solo grazie ai successi oltreoceano. Rispondendo a Ezio Mauro ha anche detto di non essere “l’uomo nero”: “Non mollo, se è questo che vuol sapere”.
Sergio Marchionne, in poche righe di comunicato lei ha seminato il panico sul futuro della Fiat in Italia, poi se n’è andato in America senza spiegare niente. Qui ci si interroga sul destino di stabilimenti, famiglie, comunità di lavoro, città. Cosa sta succedendo, e che cosa ha in mente?
«Sta succedendo esattamente quello che avevamo detto alla Consob un anno fa. Ho dovuto ripeterlo perché attorno a Fabbrica Italia si stava montando una panna del tutto impropria, utilizzando il nome della Fiat per ragioni solo politiche: a destra e a sinistra, perché noi siamo comunque l’unica realtà industriale che può dare un senso allo sviluppo per questo Paese. Capisco tutto, ma quando vedo che veniamo usati come parafulmine, non ci sto, e preferisco dire la verità».
E qual è la verità, il blocco degli investimenti in Italia dando tutta la colpa alla crisi?
«No, questa è semplicemente una sciocchezza. Abbiamo appena investito circa un miliardo per la Maserati in Bertone (una fabbrica rilevata da noi nel 2009 che non aveva prodotto vetture dal 2006), altri 800 milioni per Pomigliano: le sembra poco?».La sua verità, allora?
«Semplice. La Fiat sta accumulando perdite per 700 milioni in Europa, e sta reggendo a questa perdita con i successi all’estero, Stati Uniti e Paesi emergenti. Queste sono le uniche due cose che contano. Se vogliamo confrontarci dobbiamo partire da qui: non si scappa».La paura è che stia scappando lei, dottor Marchionne. Bassi investimenti in Italia, zero prodotti nuovi. Non è così che muore un’azienda che ha più di cent’anni di vita?
«Mi risponda lei: se la sentirebbe di investire in un mercato tramortito dalla crisi, se avesse la certezza non soltanto di non guadagnare un euro ma addirittura — badi bene — di non recuperare i soldi investiti? Con nuovi modelli lanciati oggi spareremmo nell’acqua: un bel risultato. E questa sarebbe una strategia manageriale responsabile nei confronti dell’azienda, dei lavoratori, degli azionisti e del Paese? Non scherziamo».Ma i suoi concorrenti sono europei come la Fiat, operano sullo stesso mercato, eppure non hanno alzato le braccia. Tutti incoscienti e irresponsabili, anche quando guadagnano quote di mercato a vostro danno?
«Senta, perché non guardiamo le cifre che parlano da sole, molto meglio della propaganda? Lei le conosce? In Italia l’automobile è precipitata in un buco di mercato senza precedenti, un mercato colato a picco nel vero senso della parola, ritornato ai livelli degli anni Sessanta. Sa cosa vuol dire? Che abbiamo perso di colpo quarant’anni. E si capisce, se uno è capace di guardarsi attorno. Il Paese soltanto un anno fa era fallito, lo avevamo perduto. Solo l’intervento di un attore credibile ha saputo riprendere l’Italia dal baratro in cui era finita e risollevarla. Ce lo siamo dimenticato? E qualcuno vorrebbe che la Fiat, in mezzo a questa tempesta, si comportasse tranquillamente come prima, quando c’era il sole? O è un’imbecillità, pensare questo, o è una prepotenza, fuori dalla logica».
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