Gli scout americani e la pedofilia
Il Los Angeles Times racconta come una delle più grandi associazioni scout del mondo avrebbe "protetto" i suoi staff non denunciando alla polizia almeno 500 casi di abusi
Per venti anni i Boy Scouts of America (BSA), la più grande associazione scout degli Stati Uniti e una delle più grandi al mondo, avrebbero omesso di informare le autorità di centinaia di casi di abusi sessuali commessi da parte dei loro staff. Secondo un’indagine condotta dal quotidiano statunitense Los Angeles Times su 1.600 documenti riservati risalenti al periodo che va dal 1970 al 1991, nella maggior parte dei casi l’organizzazione sarebbe venuta a conoscenza degli abusi solo dopo che erano stati denunciati alla polizia. Ma in più di 500 casi i capi dei BSA sarebbero stati informati dai bambini stessi, dai loro genitori, dal personale di sostegno o tramite denunce anonime e non avrebbero riferito dei presunti abusi alle autorità cercando dunque di nascondere i fatti.
Il quotidiano spiega che “quando un problema emergeva, veniva chiesto all’interessato di lasciare volontariamente la posizione piuttosto che correre il rischio di ulteriori indagini”. E gli veniva consentito di dimettersi con motivazioni false: problemi di lavoro, “croniche disfunzioni cerebrali”, nuovi incarichi. In almeno 50 casi, comunque, alle persone inizialmente espulse era stato permesso di rientrare in attività (e in alcuni di questi casi quelle persone vennero nuovamente accusate di molestie o violenze sessuali).
I documenti sui quali si basa l’articolo del Los Angeles Times sono contenuti in un dossier riservato della stessa organizzazione scout, chiamato “Perversion files”, che i dirigenti usavano internamente dal 1919 e che conterrebbe di fatto la lista dei presunti molestatori. L’esistenza di quest’archivio segreto era stata svelata da Kelly Clark, avvocato difensore di un uomo che era stato violentato da un capo scout intorno al 1980. La vittima, che nel 2010 vinse la causa, aveva accusato di negligenza l’intera associazione che avrebbe permesso al capo scout di continuare a svolgere la propria attività nonostante avesse confessato il proprio crimine a un vescovo della Chiesa dei Mormoni. Il legale della BSA non aveva negato l’esistenza dell’archivio ma si era limitato a dire che non era stato reso pubblico perché «pieno di informazioni riservate».
Ieri, in un comunicato stampa, il portavoce dei BSA Deron Smith ha detto che l’organizzazione ha sempre «collaborato pienamente con le richieste delle forze dell’ordine» e ha aggiunto che questi casi appartengono al passato poiché le nuove regole, introdotte nel 2010, prevedono che ogni sospetto di abuso debba essere segnalato direttamente alla polizia. Nel corso degli anni centinaia di questi documenti sono stati ammessi come prova, di solito sotto sigillo, nelle cause intentate da presunte vittime di abusi. Nei tribunali, la battaglia per la loro riservatezza è sempre stata portata avanti con forza dagli avvocati dei BSA per proteggere la privacy delle vittime e di chiunque veniva accusato. Nel mese di giugno, a seguito di un’inchiesta, la Corte Suprema dell’Oregon ha stabilito che 1.247 di questi documenti riservati vengano resi pubblici.
Il Los Angeles Times racconta alcuni episodi contenuti nei file. Cita per esempio il caso di un capo scout del Michigan che nel 1982 era venuto a conoscenza delle ripetute accuse di abusi sessuali commessi da un altro capo scout e che non aveva segnalato il caso alla polizia perché i suoi superiori volevano proteggere la sua reputazione e quella dell’accusato: «Ero stato consigliato di tenere sotto controllo la situazione e tenerlo tranquillo». Nel 1976 cinque ragazzi avevano accusato un altro capo scout della Pennsylvania di stupro e altri reati sessuali. Lui aveva dato le proprie dimissioni per iscritto dicendo che aveva ricevuto una promozione al lavoro e che avrebbe avuto meno tempo per le attività. Un suo supervisore gli aveva augurato «buona fortuna per la nuova posizione» accettando le dimissioni «con estremo rammarico».
Il caso che il quotidiano statunitense racconta con maggiori dettagli è quello di Arthur W. Humphries, cinquant’anni nell’attività scout. Humphries fu arrestato nel 1984 ma sul giornale ufficiale dei BSA venne scritto che nessuno aveva mai avuto sospetti su di lui. In realtà non era vero. Nei file riservati è stata infatti scoperta la testimonianza di un giovane scout risalente al 1978. Il ragazzo aveva fornito un resoconto dettagliato su come Humphries lo avesse costretto a fare del sesso orale con lui. La cosa non venne segnalata alla polizia, e anzi i documenti dimostrano anche come nel 1981 Humphries venne raccomandato e selezionato per ricoprire un importante incarico nell’organizzazione di un evento nazionale scout. Humphries continuò dunque la sua attività e molestò almeno altri cinque ragazzi prima di essere arrestato nel 1984 e condannato a 151 anni di carcere.