Il giorno dopo le proteste
I talebani hanno attaccato una base in Afghanistan, le proteste sono arrivate in Australia e il regista del film è stato interrogato negli Stati Uniti
Dopo aver toccato quasi ogni paese musulmano, dal Marocco all’Indonesia, le proteste iniziate dopo la diffusione del trailer dell’Innocenza dei musulmani sono arrivate anche a Sydney, dove un centinaio di manifestanti si è scontrato con la polizia davanti al consolato americano. I manifestanti portavano striscioni con scritte come “Obama, Obama, preferiamo Osama” e “Decapitiamo tutti quelli che insultano il profeta”.
In Afghanistan, i talebani hanno rivendicato oggi l’attacco che ieri ha colpito Camp Bastion, la base militare britannica dove presta servizio il principe Harry. L’assalto è stato condotto da circa venti talebani che sono riusciti a infiltrarsi nella base, dove hanno ucciso due soldati NATO e danneggiato diversi aerei e strutture. Nell’attacco sono morti 18 talebani ed uno è stato catturato. I talebani hanno dichiarato che l’attacco era una ritorsione contro L’innocenza dei musulmani.
Intanto si è scoperto che il cittadino statunitense individuato dalle autorità come l’autore del film, Nakoula Basseley Nakoula (un emigrato egiziano di religione copta), si trova in libertà condizionata a causa di una condanna per frode bancaria del 2009. A quanto risulta, il suo caso è attualmente sotto revisione e Nakoula rischia di tornare in prigione. Un portavoce del tribunale non ha specificato da quanto tempo questa revisione è in atto e quanto occorrerà per arrivare a un giudizio. Nakoula, che per ordine della corte non può avere accesso a internet senza permesso, è stato interrogato oggi dal suo probation officer, l’ufficiale incaricato della sua sorveglianza.
A proposito dell’assalto all’ambasciata americana a Bengasi di tre giorni fa, il presidente libico Mohamed al Magarief ha dichiarato in un’intervista ad Al Jazeera che secondo lui l’attacco all’ambasciata americana, che si è svolto con l’aiuto di razzi anticarro e altre armi pesanti, è stata un’operazione di al Qaida. Al Magarief ha aggiunto: «L’attacco è stato pianificato in anticipo. Si tratta di un gesto di vendetta che non ha nulla a che fare con la religione».
Sulla dinamica dell’attacco sono emersi oggi nuovi dettagli. Un membro della Brigata 17 febbraio, una milizia vicina al governo libico (che però non fa parte dell’esercito regolare), ha dichiarato alla CNN che aveva avvertito l’ambasciatore dei rischi di un attacco. Alcuni uomini della brigata hanno partecipato alla difesa dell’ambasciata e hanno aiutato il personale durante l’evacuazione. Proprio sui dettagli dell’attacco dovrà indagare una squadra del FBI che sarebbe dovuta arrivare a Bengasi oggi. La partenza però è stata rimandata fino a quanto la situazione non sarà più stabile.
Proprio per rafforzare le misure di sicurezza del personale ancora residente in Libia, sono stati inviati in questi giorni, dalla loro base in Spagna, 50 marine del FAST (Fleet Antiterrorism Security Team). Si tratta, in ogni caso, di un’informazione non ufficiale e rilasciata da un funzionario della difesa sotto condizione di anonimato. Curiosamente, nell’inno dei marines si parla propria delle “spiagge di Tripoli”, un riferimento alla prima operazione oltreoceano del corpo militare, compiuta nel 1802 quando combatterono contro i corsari barbareschi di Algeri e Tripoli.
Al momento, a differenza di quanto annunciato da numerosi media anche italiani, le forze inviate in Libia non avranno nessun ruolo nell’individuare o catturare i responsabili dell’assalto, ma dovranno soltanto rafforzare le difese dell’ambasciata di Tripoli. Altrettanto falso è che Obama abbia inviato dei droni in Libia per bombardare i responsabili dell’assalto. Come specifica Danger Room, il blog sulla sicurezza di Wired, sin dalla fine della guerra, nell’ottobre 2011, uno squadrone di droni Predator si trova in Libia e, d’accordo con il governo libico, effettua missioni di sorveglianza.
Foto: KHALED DESOUKI/AFP/GettyImages