Perché i lavoratori dell’Alcoa protestano
Le foto delle proteste e degli scontri oggi a Roma, contro il governo e contro la chiusura dello stabilimento sardo della multinazionale con sede negli Stati Uniti
Oggi a Roma si è svolto un corteo dei lavoratori dell’azienda Alcoa impiegati nello stabilimento di Portovesme, in Sardegna: sotto il ministero dello Sviluppo economico sono state fatte esplodere due bombe carta, un manifestante è rimasto ferito ed è stato trasportato in ospedale. Il responsabile economia del PD, Stefano Fassina, è stato contestato e spintonato. Da mesi gli operai dell’Alcoa protestano contro la chiusura definitiva della fabbrica e contestano lo scarso impegno del governo nel trovare un’alternativa alla chiusura, a partire dall’assenza di un intervento sul costo dell’energia e di adeguati investimenti nelle infrastrutture.
Alcoa Inc. (Aluminum Company of America) è una multinazionale statunitense che produce alluminio e che è presente nel mondo in 31 paesi con 61 mila dipendenti. Alcoa lavora in Italia dal 1967 con un ufficio commerciale e di rappresentanza a Milano. Dopo l’acquisizione nel 1996 della società a partecipazione statale ALUMIX (del gruppo EFIM, Ente Partecipazioni e Finanziamento Industrie Manifatturiere), Alcoa ha anche due stabilimenti produttivi in Italia: il primo, di prodotti laminati, a Fusina in provincia di Venezia; il secondo, di alluminio primario, a Portovesme. Lo stabilimento di Portovesme si trova nel sud-est della Sardegna, occupa un’area totale di circa 58 ettari e impiega circa 800 persone.
L’alluminio viene estratto dalla bauxite. Il processo di isolamento dell’alluminio è complesso e si svolge in due fasi principali. La prima è chimica (la bauxite viene frantumata e fatta reagire per eliminare gli ossidi indesiderati e ottenere una polvere bianca chiamata allumina), la seconda è elettrolitica: l’allumina, grazie all’energia elettrica (il cui costo influisce per il 35-40 per cento sul costo di produzione dell’alluminio), viene ridotta a metallo fuso e colato in lingotti o solidificato in prodotti semi-finiti. L’alluminio prodotto in questo modo è chiamato “alluminio primario”, diverso da quello secondario prodotto dal riciclaggio dei rottami di alluminio.
Il 9 gennaio 2012 Alcoa, come parte di un piano di ristrutturazione globale dell’azienda, ha annunciato la chiusura di tre impianti di produzione di alluminio primario in Europa, quelli con i costi di produzione più elevati: Portovesme in Italia, La Coruña e Avilés in Spagna. Alcoa ha anche aperto un sito per spiegare e chiarire la vicenda e riassumere le varie tappe delle trattative sindacali e politiche iniziate a gennaio. Tra le ragioni della chiusura si legge:
Portovesme è uno degli stabilimenti Alcoa per la produzione di alluminio primario con i più alti costi di produzione e ha registrato continue e ingenti perdite dal 2009. Non si vedono segnali di inversione di questo trend.
[…] Le ragioni degli ingenti costi operativi sono – tra gli altri – il prezzo dell’energia, il costo delle materie prime e l’obsolescenza degli impianti che causano inefficienze operative. Il mercato dell’alluminio ha subito una flessione drammatica dalla seconda metà del 2011: in pochi mesi l’indice LME ha perso il 27% e una stabile ripresa non è prevedibile nel breve periodo. Questo crollo aggraverà ulteriormente la posizione in perdita di Portovesme per il 2012.
Nel tentativo di rispondere a queste sfide, Alcoa ha effettuato investimenti significativi nonostante l’impianto fosse in perdita. Il Governo ha fornito supporto attraverso la “legge per la sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori”, mentre i nostri lavoratori hanno adottato iniziative in grado di migliorare l’efficienza delle attività produttive. Tuttavia, nel lungo periodo la sostenibilità dei costi dello stabilimento peggiorerà ulteriormente a causa del rialzo dei prezzi dell’energia e dei costi aggiuntivi dettati dalla normativa europea per l’introduzione dei diritti di emissione EU ETS (Emission Trading System). Date le attuali circostanze, non vediamo come lo smelter possa essere economicamente sostenibile nel futuro.
A marzo, nel corso di uno degli incontri tra il ministero dello Sviluppo Economico, la regione Sardegna, la provincia, l’Alcoa, i sindacati e il consiglio di fabbrica dello stabilimento di Portovesme, era stata stabilita la disponibilità alla negoziazione fino al 31 agosto, data limite per la presentazione di una lettera di intenti da parte di un soggetto interessato all’acquisto dello stabilimento.
Se per tale data non sarà firmata una lettera di intenti il processo di fermata dell’impianto comincerà. La società si incontrerà il primo settembre con i Dipendenti e i Sindacati per comunicare i tempi e le modalità del processo di fermata. La società si impegna a mantenere gli attuali livelli occupazionali fino al 31 dicembre. Manterremo poi l’impianto in condizioni di poter essere riavviato con un altro operatore nel caso cambiassero le circostanze. Per poter permettere questa eventuale ripartenza è essenziale che il processo di fermata avvenga in modo ordinato.
Il primo settembre, poiché non c’è stata la firma su una lettera di intenti da parte di alcuna compagnia interessata a rilevare l’impianto sardo, sono iniziate le operazioni «per la fermata controllata degli impianti dello stabilimento di Portovesme». Alcoa ha infatti spiegato in un comunicato stampa di non aver ricevuto concrete manifestazioni di interesse da parte di potenziali acquirenti e che sono fallite le trattative con le uniche due multinazionali (le svizzere Glencore e Klesch) che si erano dimostrate interessate a subentrare alla multinazionale americana. Al centro delle loro richieste, per l’apertura formale del negoziato, il problema dell’abbattimento dei costi dell’energia e la questione degli esuberi (Glencore chiedeva ad esempio il taglio di almeno 350 dipendenti).
Ieri il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, ha detto: «L’acquirente non c’è stato, ma lo stabilimento rimane riapribile, quindi noi faremo di tutto per trovare eventuali altri investitori». Oggi al ministero dello Sviluppo Economico si sta svolgendo un nuovo incontro tra il governo, i sindacati, l’azienda e gli enti locali.