Un’idea del PD, anzi molte
Una playlist di opinioni sul Partito Democratico e altro, dal libro di interviste ai suoi leader di Ivan Scalfarotto
Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Partito Democratico, ha pubblicato un libro – “Ma questa è la mia gente“, da una risposta di Pierluigi Bersani – di interviste a leader, dirigenti e amministratori del suo partito, accompagnandole a proprie riflessioni sulla varietà di approcci e pensieri e sulla ricerca di un’idea comune. Ne esce in effetti sia una grande ricchezza di esperienze personali e riflessioni interessanti che un’immagine piuttosto coerente di quello che il PD è. Ovvero molte cose difficili da coniugare ma preziose da conservare assieme.
Abbiamo estratto da alcune delle interviste una singola risposta a una domanda, in modo che la loro successione potesse restituire queste impressioni di varietà e ricchezza.
Massimo D’Alema, deputato
Sì, ma allora mi chiedo: com’è che su questa cosa (delle famiglie gay, ndr) noi del Pd ci incagliamo?
Perché in Italia c’è un’influenza della chiesa cattolica che è persino cresciuta rispetto a quando c’era la Democrazia cristiana. La Dc ha esercitato un certo ruolo di diaframma, di garanzia, di laicità della politica, mentre oggi questa sensazione che la chiesa sia sul mercato politico a tutto campo ne accresce persino la forza di condizionamento. Dopodiché, la presenza della chiesa nella società italiana ha degli svantaggi e dei vantaggi, è una nostra peculiarità. ha dei vantaggi perché è un elemento di coesione di un paese che di per sé non ne ha moltissimi: purtroppo siamo un Paese diviso. ha degli svantaggi perché, soprattutto negli ultimi anni, ha prevalso un atteggiamento integrista che ha pesantemente condizionato la vita politica italiana. Sono d’accordo con te, personalmente ritengo che bisognerebbe garantire i diritti delle persone che sono unite civilmente. ci abbiamo anche provato col governo Prodi. Penso che la legge sulla procreazione contenga misure aberranti. E ritengo che tutto il dibattito sul fine vita sia condizionato da una pretesa ideologica di normare per legge aspetti etici, che, invece, appartengono alla coscienza di ciascuno. il problema è che noi abbiamo a che fare con un punto di vista che ha anche ragioni forti. E in un momento di crisi come questo, in cui le persone sono alla ricerca di valori cui aggrapparsi, in italia questo processo richiede un dialogo, la ricerca di un compromesso con il mondo cattolico. Altrimenti, semplicemente, non andiamo avanti.
Pierluigi Bersani, segretario
Sì, ma resta il fatto che «la Repubblica» e il «Corriere» pubblicano periodicamente interviste di una pagina intera con la visione dell’universo di Veltroni o D’Alema, mentre non s’è mai vista un’intervista di una pagina intera a Cecilia Carmassi o a Matteo Mauri. Forse, quando avremo completato questo processo, anche il nostro modo di comunicare al paese risulterà più fresco e i nostri messaggi daranno un po’ meno questa sensazione di già sentito…
Hai ragione. Dove non siamo ancora arrivati è portare la freschezza che i nostri giovani dirigenti hanno all’evidenza della comunicazione, ma non siamo messi male come ci raffigurano. Qualche giorno fa ho letto un editoriale di Ernesto Galli della Loggia che diceva: «oh, com’è vecchio l’establishment!», e per fortuna non si riferiva solo alla politica, ma ci metteva dentro un po’ tutti. tranne, naturalmente, gli editorialisti dei quotidiani. noi abbiamo commentatori che stanno lì da trent’anni o più, il sistema è questo. E un po’ ci vogliono raffigurare così. Le interviste a tutta pagina di questo o di quello rispondono anche a un riflesso per così dire «subliminale» di indebolimento dell’autonomia della politica: se si dimostra che la politica è un teatrino, è giusto che le decisioni siano prese in sedi estranee alla politica. Questo non vuol dire che noi non dobbiamo fare la nostra parte nel senso del rinnovamento della politica. Per esempio, con le prossime elezioni dovremo rifare i gruppi parlamentari; quella sarà un’occasione per far venire alla luce esperienze nuove e facce nuove. La stessa cosa vale per il partito: ho intenzione di portare qui qualche nuova leva tra quelle che si stanno facendo le ossa in giro per il paese. La prossima volta, a cominciare dai gruppi parlamentari, dovremo tirar su una nuova generazione, e non solo emblematicamente. Dobbiamo fare un rinnovamento molto, molto serio.
Renato Soru, ex governatore della Sardegna
Quindi il nemico è la globalizzazione?
Il nemico comune è stata la finanziarizzazione dell’economia, e cioè quella follia degli ultimi anni per cui la finanza ha smesso di fare da facilitatore dell’incontro tra il risparmio e l’investimento produttivo che si trasforma in prodotti, ricchezza e lavoro, e quindi in ricchezza diffusa. La finanza ha finito con l’essere fine a se stessa: i soldi per creare altri soldi. i derivati hanno smesso di servire a proteggere dalle variazioni del cambio in valuta o del prezzo del raccolto e sono diventati un oggetto per vendere e comprare, sono cresciuti in quantità sproporzionata con valori multipli per decine di volte rispetto alle merci sottostanti. tutto questo ha sottratto le risorse dall’impresa e dalla produzione per lasciarle a se stesse, indebolendo le imprese e cancellando quindi le opportunità e il lavoro. Questa finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione dei mercati, la consapevolezza del limite dello sfruttamento ambientale impongono un ripensamento. La vocazione del Pd era proprio quella di favorire, rappresentare ed elaborare questo ripensamento e di presentare quindi una possibilità alla società italiana nel suo complesso, e non solo a una parte di essa.
Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato
E cos’è che manca? Cos’è che ci frena, in realtà?
Ci frena, com’è fin troppo ovvio, il fatto che il Partito democratico è nato con un gruppo dirigente già consolidato. È un partito che nasce da partiti già esistenti con propri gruppi dirigenti, che hanno avuto la necessità, o la volontà, di replicare i rapporti di forza che già esistevano anche nella composizione dei gruppi dirigenti del nuovo partito. Questa situazione si è peraltro aggravata in ragione degli elementi di rigidità che sono derivati dalle correnti all’interno del partito. io penso che, anche in ragione della crisi, siamo più vicini alla possibilità che il partito cominci a far diminuire il peso di queste componenti, e questo potrebbe far avanzare una classe dirigente più giovane e una maggiore partecipazione femminile. ci farebbe molto bene perché sarebbe anche un modo per riconoscere ciò che è già successo nella società italiana. il nostro paese è enormemente cambiato, in termini di genere, con riguardo al livello di istruzione, al livello di qualificazione, alla capacità di lavoro e via dicendo. in fondo, un partito che vuole cambiare la società e non è in grado di riprodurre ciò che già esiste, di rispecchiare la realtà, non può accreditarsi come il partito del cambiamento. È un fatto anche di coerenza, no?
Ilda Curti, assessore al Comune di Torino
E il Pd è ancora uno strumento di partecipazione? Lo sono i nostri circoli?
No. O lo sono in pochissimi casi. i nostri circoli sono luoghi stanchi ed è un vero peccato. Quelli che funzionano sono in genere quelli che hanno un segretario giovanissimo che ci mette il cuore, l’entusiasmo, la voglia. io vado spesso in giro, anche in paesi molto piccoli, perché la missione che mi sono assegnata è «contrastare la Lega nei suoi territori.» Così spesso vado in posti dove i circoli del Pd sono come cellule resistenti. in molti di questi posti vedi giovani, ragazzi, voglia di politica. il circolo in quanto luogo della partecipazione politica è finito. Di questo bisogna, magari con dispiacere o con nostalgia, prendere atto. Mi chiedo per quale motivo un ragazzo di diciassette anni dovrebbe entrare in un circolo del Pd. non ci sono ragioni.
Pietro Ichino, senatore
Voglio chiedere in particolare a te, che hai provato a guardare il mondo del lavoro da un’altra angolazione: quanto, secondo te, il Partito democratico è uno strumento di cambiamento della società e quanto invece ci capita, volontariamente o no, di essere uno strumento di conservazione?
Una componente strutturale del mondo della sinistra, da sempre, è costituita dal sindacato, che conservatore è per sua stessa natura. il sindacato difende principalmente i lavoratori stabili, regolari e di aziende medio-grandi, i quali hanno l’interesse a mantenere il proprio posto di lavoro, la propria stabilità, cioè l’interesse a una certa continuità dell’esistente. Questo ruolo del sindacato, istituzionalmente e naturalmente conservatore, non sarebbe in sé un fatto negativo: il sindacato svolge il ruolo della difesa di un segmento di interessi che sono perfettamente legittimi in qualsiasi tessuto civile, in qualsiasi società. il problema nasce quando l’ottica del sindacato, per difetto di leadership e di visione strategica del partito, diventa la visione generale della sinistra. È in quel momento che la sinistra nel suo complesso diventa conservatrice.
Stefano Fassina, membro della segreteria nazionale
Dunque, il Pd non deve più proporsi di parlare necessariamente a tutti.
Io penso che il Pd debba avere un riferimento sociale, non esclusivo ma prioritario: il lavoro subordinato. non dico il lavoro dipendente, ma il lavoro subordinato, perché il secondo ingloba il primo, con l’aggiunta di tante altre forme di lavoro subordinato che non sono necessariamente inquadrabili in un regime di dipendenza. Penso, per esempio, all’artigiano che lavora in monocommittenza per una grande impresa e non riceve i pagamenti dall’impresa committente. È lavoro economicamente subordinato, al di là di come viene presentato sul piano giuridico. Poiché ritengo che nel mondo del lavoro vi sia ancora una profonda asimmetria nei rapporti di forza, noi dobbiamo essere quelli che assumono il punto di vista di chi è più debole con una «vocazione maggioritaria», nel senso di proporre un patto per lo sviluppo a tutte le forze produttive. non dobbiamo dunque porci in un’ottica antagonista: io voglio che gli imprenditori facciano parte del Pd e che votino per il Pd, ma deve trattarsi di quegli imprenditori che vogliono fare un patto e modernizzare l’attività produttiva e non rincorrere la concorrenza sui costi. Per intenderci, Marchionne non può essere rappresentato dal Partito democratico: non è un interlocutore, non ha un progetto rappresentabile da noi. Le tante altre imprese, come per esempio Luxottica, che scommettono su un rapporto pattizio con il lavoro ai fini dello sviluppo, sono invece certamente degli interlocutori.
Laura Puppato, consigliere regionale in Veneto
E tu, personalmente, nel partito come sei stata accolta? Come ti sei trovata poi, tu che eri già sindaco prima ancora che il partito fosse fondato, a diventare donna di partito?
Per dirla con Neruda, confesso che ho vissuto, e male, il rapporto col partito. non trovo adeguata la struttura del partito così come la conosciamo oggi. La trovo rigida, lenta, scarsamente efficace. Devo premettere un mio limite: io non ho mai voluto fare il segretario provinciale, regionale o di circolo. credo di essere inadatta, perché credo che lì sia prevalente la necessità dei «tavoli», come si dice in politica: soppesare, centellinare, graduare, mettere insieme elementi come nel gioco del piccolo chimico. io mi trovo più a mio agio con un lavoro che individui delle problematiche che emergono nella società per poterle risolvere, e quindi un’operatività legislativa come quella di un consigliere regionale, oppure una fortissima attività informativa, un’importante attività di promozione civile e culturale e di continuo lavoro – come quello che faccio nel forum ambiente del Pd – per promuovere un’idea di società che è quella alla quale io aspiro. nelle segreterie io trovo altro rispetto a questo. ci sto, ci lavoro, ma con un costante senso di sofferenza. trovo che il lavoro che vi si fa, invece di essere di conforto all’idea che ho della politica, sia un’attività di rallentamento e di appesantimento, e quindi lo vivo inevitabilmente male.
Walter Veltroni, ex segretario
Sì, ma in questo disastro l’antipolitica monta.
Da un certo punto di vista questo mi conferma la giustezza dell’intuizione del 2007. io penso che oggi, tra gli elettori di Grillo, ci sia molta gente che ha votato alle nostre primarie fondative. E lo ha fatto perché pensava, voleva e sperava che il Pd fosse quell’elemento di discontinuità della vecchia politica che noi avevamo promesso di essere. Se vai a rivedere le cose che io dissi al Lingotto a torino nel 2008, ci sono tutta una serie di proposte contro gli sprechi della politica, a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari. chi di noi pensava che alle ultime amministrative avremmo rischiato di perdere voti verso l’estrema sinistra, sbagliava. oggi i voti vanno verso un’area di elettori interessati a cogliere un’opportunità che noi non dobbiamo e non possiamo perdere. Perché o il Pd è il partito che riscrive il rapporto tra Stato e società, tra confini della politica e autonomia del civile, oppure non è il Partito democratico. Questa è la sua natura, è la sua essenza, è la sua funzione storica. E al tempo stesso il Pd deve avere una posizione riformista talmente innovativa da essere attraente anche per elettori che abbiano votato in precedenza per il centro e addirittura anche per la destra. non possiamo non preoccuparci del fatto che mentre il PdL sparisce non c’è un elettore in carne e ossa che da loro passi a noi. E questo non è normale in un sistema democratico dell’alternanza.
Debora Serracchiani, deputato europeo
Il consenso che tu raccogliesti alle europee fu assolutamente straordinario, dalle tue parti stracciasti lo stesso Berlusconi…
Le condizioni di quel momento non sarebbero certamente riproponibili oggi. in quel momento, con l’assoluta predominanza dell’immagine, tipico della cultura che stava dietro a Berlusconi, la sinistra sembrò aver trovato una possibilità investendo sul senso della novità. A noi militanti piace ascoltare le persone che hanno ruoli di primo piano nel partito, però dobbiamo sempre pensare che nel paese, fuori dal primo cerchio, c’è un po’ la sensazione che le persone siano sempre le stesse. non ne faccio una questione anagrafica, ne faccio proprio un tema fisico, di immagine. così, se ti capita una novità, getti su quella novità tutta la spinta che ti viene dalla necessità di cambiare, di dare un segnale, di immaginare che il paese ha la possibilità di essere rappresentato anche dalle generazioni più giovani. Quelle condizioni sono state anche legate alla mia immagine pubblica, al modo in cui ero emersa a quell’assemblea dei circoli a Roma. credo che tutto questo abbia aiutato a catalizzare il consenso popolare su di me. non credo che la cosa sarebbe oggi riproponibile negli stessi termini.
Pippo Civati, consigliere regionale in Lombardia
Ma, dovendo partire per la campagna elettorale del 2013, con quale messaggio tu parti?
Votiamo per il Pd che fa le cose che abbiamo detto. Se le fa, sarà una campagna elettorale facile, altrimenti sarà una campagna elettorale complicata, anche per chi dovrà lavorarci. A Milano, per esempio, fare la campagna elettorale per Pisapia è stato più facile di ogni altra campagna elettorale precedente. ci sono campagne che ti appassionano di più e altre che capisci meno. come al solito, lo slogan giusto ce l’ha obama, basta copiare o almeno non fare il contrario: «forward», avanti. col governo Monti c’è stata una fase di transizione tecnica molto pesante dal punto di vista del consenso per noi, anche se molto onorevole per le responsabilità che ci siamo presi. Adesso c’è il nostro gioco da fare. facciamo una patrimoniale per togliere un po’ di tasse a chi lavora e chi produce, oppure no? Vogliamo mettere le tasse sui patrimoni e sulle ricchezze, con garbo e senza ammazzare nessuno, e però iniziare a dare un po’ di respiro a chi lavora e a chi dà lavoro? Questa, per esempio, è una partita che si spiega in venti secondi. Se invece parli di patrimoniale in genere ti dicono che no, non si può fare, mi viene l’ernia, ho un problema, ho i patrimoni, ho le angosce, perdiamo i voti. Una fissazione, questa di temere di perdere i voti ogniqualvolta diciamo qualcosa di preciso. Questo è il messaggio, questo è il futuro. Ma se dice «futuro» un ragazzo di vent’anni è credibile, se lo dice uno che è da più di vent’anni in Parlamento non lo è. Senza cattiveria.
Michele Emiliano, sindaco di Bari
Hai una risposta a questa domanda (a cosa serve comandare nel PD, ndr)?
Sì, non serve a niente. io penso di avere in questo momento nel Pd moltissime persone legate a me. Ma a me non interessa nulla di sapere quante sono. Quando i dalemiani mi chiedono di avere tutti i segretari provinciali – perché l’ossessione dei dalemiani è avere i segretari provinciali – io dico loro: e pigliateveli tutti, che volete che me ne importi? cosa vuoi che mi interessi chi è il segretario provinciale, tanto quella figura non svolge nessun ruolo. La politica va in un’altra direzione, su un altro piano. Di fronte a una situazione come quella italiana le manovre interne a un partito, che un tempo erano anche accettate dall’opinione pubblica, sono diventate inaccettabili. noi stiamo mettendo insieme una specie di decalogo del buon comportamento politico che è definito dalla prassi e dal consenso popolare. Per esempio, se un sindaco esce dal primo mandato in maniera sufficiente, ha diritto di essere ricandidato. non farlo solo per manovre interne di palazzo è un suicidio.
Rosy Bindi, presidente
Perdonami, ma ancora non capisco perché io non mi posso sposare.
Perché la nostra costituzione dice che il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna, e le riconosce uno statuto speciale. Per i costituenti questa unione non era solo l’unica tipologia di famiglia possibile, era anche l’unica formazione sociale considerata portatrice di diritti e di doveri altrove riconosciuti soltanto ai singoli cittadini. credo che questa distinzione vada conservata, e non solo perché si ritiene che il legame matrimoniale sia un legame certo e stabile, che implica forti responsabilità tra i coniugi e verso i figli, ma anche perché da quell’unione stabile e sicura nascono anche impegni sociali e pubblici di estrema importanza. Quando oggi si parla di famiglia come ammortizzatore sociale, si sa che cosa si vuol dire.
Dimentichi che Federico è il mio ammortizzatore sociale, Rosy. E io il suo.
Non hai torto. E del resto, mentre considero anticostituzionale il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ritengo assolutamente costituzionale il riconoscimento di diritti e di doveri che nascono dalla tua relazione. Perché anche quella relazione è stabile, esprime solidarietà e ha un suo valore sociale. È comunque un punto di riferimento, dal quale nascono doveri di mutuo aiuto e di presa in carico reciproca che vanno tutelati. Ma, ribadisco, senza fare confusione con l’istituto del matrimonio.
Stefano Boeri, assessore a Milano
C’è una specie di grumo, di blocco.
Ci sono una serie di innovazioni nelle forme di rappresentanza e nelle modalità di rigenerazione del partito che vanno introdotte.
Per esempio?
Le primarie sono certamente un elemento positivo. ci potranno essere mille possibili miglioramenti da fare, io non sono un esperto, però certamente sono uno strumento positivo. così come ha senso avere un numero massimo di mandati per gli eletti. Ma sono tutte garanzie, paletti procedurali. il problema è più culturale: dobbiamo cominciare a pensare che deve esistere un principio fortissimo di reversibilità del far politica. Questo significa dare spazio a un continuo ricambio. Poi, certamente, ci vuole una cultura che spinga a una costante rigenerazione: vuol dire pensare che ogni due anni si rimettono in discussione le élite. in una situazione come quella della politica europea e mondiale di oggi mi chiedo che senso abbia che si deleghi a un dirigente una continuità quadriennale. tre anni fa c’era un governo di centrodestra al 38 per cento e una situazione internazionale dove solo si intravedeva l’inizio di una crisi. oggi è cambiato tutto. Perché tutto deve cambiare tranne il Partito democratico? c’è un problema di frequenza dei grandi processi di rigenerazione del partito, che dovrebbero invece essere sistematici, quasi di routine. Anche, ovviamente, nel senso di una conferma o rilegittimazione di chi ricopre un certo incarico.
Francesca Puglisi, membro della Segreteria Nazionale
Non chiama neanche me (Giovanni Floris, ndr), se può aiutare.
Non è certo colpa nostra. Però, vedi, io sento molto la responsabilità di essere una dirigente di questo partito, e vedo che per le cose di cui mi occupo sono diventata un punto di riferimento anche per molte persone più mature di me, che fanno politica da più anni di me o che sono impegnate nell’associazionismo scolastico. Detto questo, credo che nel paese ci sia poca capacità di fare squadra un po’ a tutti i livelli. Questo perché siamo cresciuti in un’ottica di competizione individualista tipica degli anni ottanta. Però, se ci pensi, il Pd non è un partito immobile come lo si dipinge: abbiamo tantissimi sindaci e amministratori locali giovanissimi; abbiamo segretari regionali e provinciali davvero giovani; una segreteria nazionale fatta interamente di quarantenni non parlamentari. Bersani si è riunito con noi tutti i martedì da tre anni in qua senza mai saltarne uno, e non ha convocato con altrettanta frequenza il coordinamento del partito, il cosiddetto «caminetto». Rivendico, dunque, con forza il mio ruolo di dirigente, e mi sembra che mi sia stata offerta l’opportunità di incidere nella vita del mio partito; nel determinare, per esempio, la linea politica sulla scuola. ci siamo dati un metodo di lavoro, che è quello di mettere davanti a tutto l’ascolto della società italiana, ciascuno per il proprio settore di competenza, e poi di votare democraticamente nelle assemblee nazionali un programma alternativo a quello della destra. Ma tutto questo lo abbiamo fatto noi, lo abbiamo fatto assieme come gruppo dirigente diffuso perché, oltre ai nostri martedì con Bersani, abbiamo sempre riunito i gruppi parlamentari, gli amministratori locali, una volta al mese tutti i segretari regionali e, con buona frequenza, tutti i segretari provinciali. Stiamo costruendo un partito che a me piace molto, in cui tanti e tante, se si avvicinassero per conoscerlo, potrebbero vivere, e a cui potrebbero partecipare con grande agio.