Farsi riconoscere, al ristorante
In alcuni locali di New York la personalizzazione del servizio sta diventando un'offerta sempre più accurata, e un po' invadente
Un articolo del New York Times di martedì racconta l’investimento di alcuni ristoranti newyorkesi su un servizio altamente personalizzato, complici le nuove tecnologie e la possibilità di gestire database accurati. Spiega il NYT che non è difficile immaginare che molti ristoratori di New York sappiano che Tim Zagat, l’autore delle celebri guide gastronomiche Zagat, preferisce la minestra in tazza e il tè freddo con succo di mirtillo rosso in bicchiere grande con molto ghiaccio. E anche la passione del cantante americano Jay-Z per il vino bianco di Borgogna non è un segreto per i camerieri dei ristoranti più ricercati. Ma anche il signor Tannen, un consulente di assistenza sanitaria che lavora a Brooklyn e ogni venerdì sera cena al Gramercy Tavern, trova ad aspettarlo un tovagliolo nero, il suo colore preferito, e solo la parte finale del pane, che a lui piace di più.
I dettagli sono accuratamente registrati nel computer del locale. Il signor Tannen ritiene che sia ormai noto anche il suo amore per le patatine fritte: in occasione del suo 68esimo compleanno il cameriere lo sorprese con un piatto di french fries che si era portato da fuori, visto che lì non le preparano. Il Gramercy Tavern è celebre per l’ossessione maniacale del proprietario per un servizio altamente personalizzato, ma non è l’unico.
Sempre più spesso i ristoranti registrano se sei un cliente abituale, se è la tua prima volta, se vivi nello stesso quartiere del locale o se sei un amico del proprietario o del gestore. Sanno dove ti vuoi sedere e se preferisci il burro duro o quello morbido (sempre che tu abbia una preferenza), la Coca-Cola o la Pepsi. E la personalizzazione cura gli interessi del cliente ma anche del locale: «Sappiamo se un nostro cliente può mangiare o no i frutti di mare e se è uno di quelli che stanno seduti al tavolo sei ore e mezza, così la prossima volta ci assicureremo di dargli un posto scomodo per farlo andare via prima» racconta Ed Schoenfeld, il proprietario del ristorante RedFarm nel West Village.
E dato che il 30 per cento dei guadagni di un ristorante provengono dagli alcolici, anche quanto il cliente è disposto a spendere per una bottiglia è un particolare tenuto in considerazione. Ma l’obiettivo principale è coccolare il cliente. «Noi lo chiamiamo “effetto Cheers” – spiega Ann Shepherd, vice presidente del marketing del servizio di prenotazione OpenTable, che si riferisce al bar della serie televisiva degli anni 80 trasmessa in Italia col nome di “Cin Cin”.
In alcuni locali ogni tipo di cliente è associato a delle sigle in codice. Se all’Osteria Morini di Soho vi portano un antipasto in omaggio siete fortunati, siete clienti SFN, something for nothing, a cui offrire qualcosa comunque. FOM sta per friend of the manager, amico del capo. PX, person extraordinaire, sostituisce l’abusato VIP. E qualche PX è anche contrassegnato con NR, never refuse, non dire mai di no. I clienti con una cattiva reputazione sono spesso HWC, handle with care, maneggiare con cura.
La maggior parte dei ristoranti, in particolare quelli di proprietà di grandi aziende come il Gruppo Altamarea e Mr Meyer Union Square Hospitality Group, cataloga tutte le vecchie fatture: ma l’allusione del New York Times alla possibilità che siano usate anche per poter analizzare i modelli di spesa dei loro clienti è contestata dai gestori. Però quando si prenota con il servizio online OpenTable, al ristorante viene inviato uno schema del profilo del cliente, con il suo indirizzo e-mail, le eventuali richieste speciali e se è o no un OpenTable VIP, cioè se ha utilizzato il servizio almeno 12 volte.
Nonostante l’accuratezza con cui vengono collezionate queste informazioni, tutti i ristoratori intervistati dal New York Times sono d’accordo nel dire che la tecnologia non può sostituire un buon barman o un buon cameriere. Al Marea, il ristorante italiano di Michael White a Central Park, il gestore di fondi William Ackman è un cliente abituale e il suo nome è contrassegnato da NR, non dire mai di no. Ma il computer non sa che non bisogna assolutamente far sedere il signor Ackam vicino a Carl C. Icahn, un altro grande nome a Wall Street. I due hanno un’importante causa legale in corso, uno contro l’altro.
C’è anche chi racconta di leggere i giornali finanziari e guardare la CNBC per capire di che umore saranno i clienti. Gli esperti dicono che non è necessario essere contrassegnati con PX per ricevere un trattamento personalizzato, la cosa importante è parlare con i camerieri, comunicare le proprie richieste, eventuali allergie e preferenze. I commensali dovrebbero dire al cameriere perché hanno scelto proprio quel ristorante, se ne hanno sentito parlare bene o se vivono nei dintorni. «Un cliente non deve mai sottovalutare quel che si può ottenere con la gentilezza» suggerisce Chloe Nathan Genovart, ex capo cameriere del Per Se che ora gestisce due ristoranti nel Vermont.
Foto: Spencer Platt/Getty Images