E poi arrivò Bill Clinton
Il 42mo presidente ha entusiasmato la convention di Charlotte e lasciato ammirati i commentatori con un lungo intervento a favore del 44mo presidente
Il 42mo presidente degli Stati Uniti Bill Clinton – fu in carica per due mandati tra il 1993 e il 2001 – è stato l’assoluto protagonista della serata di mercoledì alla convention Democratica di Charlotte, Carolina del Nord, con un lungo, articolato e sostanzioso discorso in appoggio ed esaltazione del 44mo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che la convention nominerà suo candidato per un secondo mandato e che lo ha raggiunto sul palco e abbracciato alla fine dell’intervento.
«Siamo qui per nominare un presidente, e io ne ho in mente uno»
Clinton ha parlato per 49 minuti, superando abbondantemente la durata consueta degli altri interventi alla convention e aggiungendo estese parti non previste dal testo preparato, e argomentando diversi punti a favore della rielezione di Barack Obama. Ha insistito su come gli Stati Uniti siano oggi un paese più sereno e forte di come fossero quattro anni fa, e ha smorzato le critiche affermando che nessun presidente, “nemmeno io, né nessun altro”, avrebbe potuto risollevare l’economia americana in soli quattro anni. Ha elencato le qualità umane e le capacità di Obama soprattutto nell’introduzione del discorso (emozionando la platea con un galante e conclusivo «e voglio scegliere un uomo che ha avuto il buon senso di sposare Michelle Obama», che riprendeva la battuta di Elizabeth Warren che lo aveva preceduto su sua moglie Hillary). Ha attaccato la fragilità e l’aggressività degli argomenti dei repubblicani esposti nella convention di Tampa della settimana passata, sottolineando invece la volontà di collaborare dell’amministrazione Obama, e ha sottolineato la deriva radicale presa in questi anni dal partito Repubblicano.
«Malgrado sia spesso in disaccordo con i repubblicani, non sono mai stato capace di odiarli quanto l’estrema destra che oggi controlla il loro partito sembra odiare il presidente Obama e i Democratici»
«Una delle ragioni principali per cui l’America dovrebbe rieleggere il presidente Obama è che è tuttora impegnato a collaborare. Ha nominato ministri repubblicani. Ha nominato un vicepresidente che era stato suo avversario nel 2008 e gli ha dato fiducia per gestire la vittoriosa fine della guerra in Iraq e l’avvio della ricostruzione. E Joe Biden ha fatto un gran lavoro con entrambe le cose. Ha scelto membri dell’amministrazione che avevano appoggiato Hillary alle primarie. Ehi, ha persino nominato Hillary!»
«A Tampa, l’argomento Repubblicano contro la rielezione del presidente è stato piuttosto semplice: gli abbiamo lasciato un disastro, non lo ha sistemato abbastanza velocemente, quindi mandatelo via e rimetteteci noi»
«Siamo dove vogliamo essere? No. Il presidente è soddisfatto? No. Stiamo meglio di quando entrò in carica, con un’economia in caduta libera e 750 mila posti di lavoro persi ogni mese? La risposta è sì»
Clinton ha accusato Romney di voler tornare a quello che c’era prima, sostenendo che c’è bisogno invece di qualcosa di nuovo e diverso, e di voler tagliare le tasse ai ricchi e i servizi ai poveri e alla classe media, riprendendo idee fallimentari: e ha citato, allusivamente, una famosa battuta di Ronald Reagan contro Jimmy Carter nella campagna del 1980: «There you go again!» («E dagli!»). Clinton ha anche fornito una serie di cifre sulla implausibilità economica dei progetti repubblicani. Il discorso di Clinton è stato già accolto da molti commentatori come quello di un’altra categoria di oratoria e capacità argomentativa rispetto a quello che ha mostrato finora la campagna elettorale, capace di segnare a favore di Obama “più punti di quello che ha saputo fare Obama stesso”.
Prima dell’intervento di Clinton, la notizia del giorno era stata il voto della convention per reintegrare nel programma due passaggi la cui assenza era stata notata, e attaccata dai Repubblicani: quello con un riferimento a “Dio” e quello che afferma Gerusalemme come capitale dello stato di Israele. Il voto è stato combattuto e contestato, e lo staff di Obama ha fatto sapere che la scelta sulla modifica veniva direttamente dal presidente.
L’altro inciampo comunicativo della giornata è venuto dalla necessità di abbandonare il progetto del discorso di Obama allo stadio, in uno spazio aperto e più grande, per i timori legati ai temporali possibili in questi giorni.