Anche le donne devono giocare 3 set su 5?
I pro e i contro di equiparare la formula degli uomini nei tornei del Grande Slam di tennis anche alle donne in un lungo e interessante dibattito sul New York Times
Nei mesi scorsi si è aperto un dibattito sul New York Times su un tema molto sentito tra i giocatori e le giocatrici di tennis: capire se sia giusto far giocare anche alle donne, come agli uomini, tre set su cinque nei tornei del Grande Slam (Australia Open, Roland Garros, Winbledon, US Open), cioè se per vincere una partita si debbano vincere tre set su cinque e non due set su tre come succede oggi nel torneo femminile.
Qualche mese fa il tennista francese Gilles Simon, che è anche il rappresentante dell’ATP (Association of Tennis Professionals), l’associazione professionistica degli uomini, aveva posto il problema, sostenendo che gli uomini passano più tempo sul campo, cioè le loro partite durano di più giocando tre set su cinque, ma i premi per i giocatori messi a disposizione dagli organizzatori per uomini e donne sono gli stessi. Il tennista russo Nikolay Davydenko ha detto invece che si dovrebbe fare il contrario e far giocare gli uomini, anche nei tornei del Grande Slam, partite con al massimo tre set.
Nel tennis femminile, comunque, giocare tre set su cinque non sarebbe una novità: nel torneo conclusivo della WTA (Women’s Tennis Association), l’associazione professionistica femminile, si è giocato con i tre set su cinque dal 1984 al 1998. Per chi sostiene di equiparare le partite delle donne a quelle degli uomini, come Ray Krueger del New York Times, giocare tre set su cinque nei tornei del Grande Slam non presenta un problema, neanche di tipo fisico: «questi tornei durano due settimane e a differenza degli altri tornei WTA (i Masters Series), che si svolgono all’interno di una settimana, le tenniste giocano ogni due giorni e non ogni giorno».
Ci sono poi i problemi per i mezzi di comunicazione, proprietari dei diritti televisivi, che già hanno difficoltà a trasmettere partite che durano molto nei tornei del Grande Slam tra gli uomini e non vorrebbero che questo modello venisse esteso anche alle donne, perché potrebbero trasmettere al massimo qualche partita ogni giorno, perdendo i ricavi derivanti dalla pubblicità. Le televisioni pagano l’ATP e la WTA per ogni singolo torneo del Grande Slam molti milioni di euro ogni anno e non permetterebbero mai di avere in programma 128 partite (questo il numero degli incontri del primo turno nei tornei del Grande Slam tra uomini e donne), che rischiano di superare le tre ore ognuna.
«A livello tecnico il gioco delle donne, essendo più veloce e aggressivo, è adatto soltanto ai due set su tre», scrive la giornalista sportiva Jane McManus. E giocando di meno si eviterebbero anche molti infortuni, senza il rischio di perdere i giocatori per infortunio durante l’anno. Il giornalista sportivo Jonathan Scott propone invece un modello unico, sia per gli uomini, sia per le donne diverso da quelli esistenti: «giocare le partite dei tornei del Grande Slam fino agli ottavi di finale con la formula del due su tre e dai quarti di finale in poi con quella del tre su cinque». Una soluzione che metterebbe d’accordo giocatori, organizzatori, televisioni e spettatori. Anche perché le partite più belle si vedono da una certa fase del torneo in poi e sono quelle più seguite.
Anche se per molte giocatrici fare più set non sarebbe certo una buona notizia, spiega Megan Fernandez, executive editor della rivista Indianapolis Monthly. Anzi, «per rendere il tennis più attraente bisognerebbe accorciarle, le partite, e non allungarle». Ma allora, proprio per assistere a uno spettacolo che duri di più «sarebbe meglio allungare le partite con i tre set su cinque, anche per i tornei femminili», spiega Cheri Britton, direttrice del sito internet Women’s Tennis Apparel. E così «anche le tenniste potrebbero giocare partite memorabili come quella tra John Isner e Nicolas Mahut a Wimbledon», la partita più lunga della storia del tennis, che durò 11 ore e 5 minuti e fu vinta da Isner 70 a 68 nel quinto set.
Foto: Serena Williams (Al Bello/Getty Images)