L’atlante dei fratelli Wachowski
Il New Yorker racconta i leggendari fratelli autori di "Matrix" e la storia del loro nuovo ambizioso film che esce il mese prossimo, "The cloud atlas"
Il New Yorker di questa settimana pubblica un lungo ritratto dei fratelli Wachowski, coppia leggendaria e misteriosa di auori e registi, che ha costrutito un enorme culto con il successo del film “Matrix”, quando ancora i fratelli Wachowski erano due fratelli: nel frattempo sono diventati fratello e sorella e stanno concludendo la produzione di un nuovo film ambizioso quanto e più di “Matrix”, tratto dal romanzo di David Mitchell “L’atlante delle nuvole”.
Andy e Lana Wachowski (Larry, prima del coming out sulla sua identità sessuale) hanno rispettivamente 47 e 43 anni e sono cresciuti in un sobborgo di Chicago, allevati da due genitori appassionati di cinema che hanno imbottito loro e le loro due sorelle di film da quando erano bambini: Lana racconta di essere stata influenzata moltissimo da “2001, Odissea nello spazio”, di averlo odiato prima – non capendolo, bambino – e poi di non essersi più liberata delle spiegazioni paterne sui suoi “simboli”.
Andy e Larry sono stati sempre legatissimi, e Larry cominciò al liceo a capire di avere dubbi e disorientamenti sulla sua sessualità. Si appassionarono a scrivere storie immaginando di diventare autori di fumetti – mescolando mondi e tempi di giochi, storie, disegni – ma intanto cominciarono più concretamente a lavorare come imbianchini e operai nelle costruzioni. A un certo punto, negli anni Novanta, ottennero un lavoro dalla Marvel e cominciarono a trovare ascolto presso gli agenti e le case di produzione. Una loro sceneggiatura, “Assassins”, fu acquistata da Dino De Laurentiis, che li accolse nel dorato mondo hollywodiano, ma poi la rivendette per cinque volte il prezzo alla Warner che ne fece un film con Stallone e Banderas togliendo tutto quello che gli autori chiamano “i sottotesti, le metafore, l’idea di universi morali diversi”: chiesero di togliere le loro firme al film, senza successo.
Ormai comunque erano nel giro, e nel 1994, dopo due anni di lavoro, fecero girare la sceneggiatura di “Matrix”: una loro idea nata anni prima lavorando a un fumetto, che immaginava che un mondo parallelo e virtuale sia quello che consideriamo reale, in cui viviamo. Costruito da intelligenze artificiali per tenere quieti i nostri corpi in realtà comatosi, e ottenerne energia. La sceneggiatura fu acquistata da Warner Bros., con poca convinzione, e i Wachowski insistettero per dirigerlo loro.
Dopo una prova su un film con Gina Gershon e Jennifer Tilly (“Bound”), Warner acconsentì: girarono “Matrix” in 118 giorni: uscì a maggio 1999 e nel primo weekend incassò trenta milioni di dollari. Divennero mezzo miliardo, e quattro Oscar. E il film si lasciò dietro non solo il successo e il gradimento ma un’eredità filosofico-culturale che influenza da allora i campi del cinema, della letteratura, della sociologia e dell’innovazione, con citazioni in saggi eruditi e visioni del futuro le più varie.
I fratelli Wachowski, con quel cognome e quella parentela che aggiungevano fascino al loro successo, decisero di aggiungervi un dettaglio che accrebbe ulteriormente il culto: chiesero a Warner Bros. di non avere a che fare con i media. «Due ragioni mi fanno apprezzare l’anonimato», dice Andy Wachowski: «Un’avversione per la celebrità – oggi posso entrare persino in un negozio di fumetti e nessuno mi riconosce – e l’idea che ci sia qualcosa di gradevolmente egualitario, nell’essere anonimi».
I due seguti di “Matrix”, girati sempre da loro in Australia, guadagnarono un miliardo di dollari, ma la produzione fu più complicata e faticosa. Due attori morirono durante la lavorazione e un tecnico si uccise. Larry aveva una forte depressione legata alle sue incertezze sessuali e decise di confrontarsi con la famiglia su questo: ottenne comprensione e amore, ma fu traumatico per tutti. Un giorno, dall’oggi al domani, cominciò a vestire abiti femminili e a usare un nuovo nome, Lana.
Divorziò da sua moglie e nel 2009 si sarebbe poi sposata con una nuova compagna. La storia cominciò a circolare e aggiunse mistero e pettegolezzi alle curiosità dei fans e dei media sui fratelli Wachowski. Lana ha spiegato all’autore del ritratto sul New Yorker, Aleksandar Hemon: «So che molti muoiono dalla voglia di sapere se ho una vagina costruita chirurgicamente o no, ma preferisco tenere questa informazione tra me e mia moglie».
Nel 2009 i Wachowski cominciarono a cercare finanziamenti per un film tratto dal romanzo “L’atlante delle nuvole”, racconta il New Yorker. È un libro di un autore inglese – David Mitchell – dalla struttura molto complessa, con diversi protagonisti e storie, e cambi di tempi che si allontanano e si riallineano, per non parlare delle invenzioni di linguaggio. La trama è sintetizzata così nelle note dell’edizione italiana:
Un notaio di metà Ottocento che riluttantemente si trova a solcare l’Oceano Pacifico; un compositore diseredato che compone sonate e lettere d’amore per il suo amante nel Belgio, negli anni Trenta; un giornalista di successo della California reaganiana; un editore britannico impegnato a sfuggire ai creditori nascondendosi in una casa di riposo; un androide programmato per servire ai tavoli di un bar che racconta la sua storia da una cella del braccio della morte; e, a chiudere il cerchio, un giovane proveniente da un arcipelago del Pacifico che si trova a osservare la repentina scomparsa della scienza e della civiltà, nel giro di una sola notte.
Lana aveva scoperto “L’atlante delle nuvole” nel 2005, lavorando all’adattamento di “V for Vendetta”, vedendolo leggere alla protagonista, l’attrice Natalie Portman. Lei e suo fratello se ne innamorarono e si innamorarono dell’ardua idea di farne un film (lo stesso autore, Mitchell, aveva detto una volta «peccato che sia impossibile farne un film»): con l’occasione, arruolarono a lavorarci il regista e sceneggiatore tedesco Tom Tykwer, di cui avevano apprezzato “Lola corre”. Nel 2009 i tre si chiusero in una villa in Costarica, lavorarono per giorni di foglietti e foglietti cercando un ordine cinematografico alle storie del libro, e quando ne ebbero trovato uno convincente andarono da Mitchell, che ne fu entusiasta.
Fu in questo periodo che Hemon, lo scrittore americano di origine bosniaca autore dell’articolo per il New Yorker, fu contattato dai Wachowski per un loro progetto di documentario futuristico sull’amministrazione Bush – “Cobalt neural 9” – e ci fece amicizia, ottenendo poi di poterne raccontare la storia e la lavorazione di “L’atlante delle nuvole”: il suo racconto gira molto intorno all’espressione “due corpi, un cervello” che sembra riassumere le descrizioni di tutti i testimoni del lavoro dei fratelli Wachowski.
Il progetto di “L’atlante della nuvole” però era ancora indietro, nel 2009: i produttori diffidavano e il budget era lontano da essere coperto. Ma intanto avevano individuato il protagonista, Tom Hanks. Che avrebbe interpretato sei ruoli: «L’uomo qualunque, il nostro Jimmy Stewart», dice Lana. Hanks accettò entusiasta dopo la lettura della sceneggiatura e dopo averli conosciuti, e Warner Bros si convinse a finanziare in parte il progetto, ma i timori di non farcela durarono ancora molto: i Wachowski dovettero ricorrere a diversi investitori minori, e il progetto fu ripetutamente dato per quasi morto: intanto però, c’erano dentro anche Halle Berry, Susan Sarandon e Hugh Grant, tra gli altri. Sul set, a Berlino, Hemon racconta di un clima sereno e “familiare” (Hanks a un certo punto chiama Lana ed Andy “mamma e papà”).
Alla fine il film arrivò in fondo, ricchissimo di soluzioni tecniche e letterarie per rendere il libro di Mitchell: finirono di girare a dicembre, a marzo mostrarono un montato di 170 minuti ai produttori di Hollywood, e quelli furono entusiasti.
Anche Hemon conclude che il film è riuscitissimo.
“Cloud Atlas” – “L’atlante delle nuvole” – sarà presentato al festival di Toronto, questo mese, e uscirà negli Stati Uniti il 26 ottobre.