Abercrombie & Fitch passa di moda
La catena di abbigliamento statunitense che ha colonie di adoratori anche da noi ha perso un terzo del suo valore di mercato, ed è accusata di essersi seduta su un'immagine superata: quindi ci prova in Asia
La marca di abbigliamento statunitense Abercrombie & Fitch ha perso nello scorso anno un terzo del suo valore di mercato, con vendite in calo sia in Europa che negli Stati Uniti. E la colpa, racconta BusinessWeek questa settimana, sembra essere proprio dell’immagine del marchio, che non è riuscito a rinnovarsi e a intuire i desideri delle nuove generazioni, millennials compresi: atmosfera da discoteca e commessi mezzi nudi non convincono più. Risultato: lo scorso anno 71 negozi negli Stati Uniti sono stati chiusi ed entro il 2015 ne scompariranno altri 180. Le entrate di Abercrombie, che ora ha 1055 punti vendita in tutto il mondo (uno in Italia, a Milano), sono diminuite del 2,5 per cento nel primo semestre del 2012 e per i prossimi sei mesi sono previsti risultati anche peggiori.
Un’inversione di tendenza mai vista prima nella storia del marchio, nato nel 1892 come rivenditore di abbigliamento sportivo ed escursionistico. Mike Jeffrey, 68 anni, attuale presidente e amministratore delegato dal 1992, era riuscito a convincere i ragazzini americani a pagare qualche cosa in più per jeans e felpe con il cappuccio convincendo i loro genitori della buona qualità dei prodotti, costruendo una nuova immagine per la società. La formula di Jeffrey, che comprende pubblicità ammiccanti, esibite scritte del brand su tutti i capi e un esercito di adolescenti bellocci come commessi, ha funzionato molto bene dal 1995 al 2008: guadagnando un grande fascino anche presso i teenager italiani, per i quali prima è cresciuta una mobilitazione intercontinentale di acquisti nei negozi americani (con lunghe file quasi solo di italiani e spagnoli fuori dal negozi sulla Quinta Strada a Manhattan) e poi è arrivata l’apertura del negozio milanese, che oggi spande il suo caratteristico e svenevole profumo intorno a un isolato di corso Matteotti.
(Il problema di Saville Row con Abercrombie & Fitch)
Marcie Merriman, fondatrice di PrimalGrowth, (una società di consulenza e strategie commerciali che ha come clienti Victoria’s Secret e Limited Brands) nell’articolo di BusinessWeek spiega: «Gli adolescenti di oggi sono radicalmente diversi da quelli di un tempo. Hanno infinite possibilità di scelta e rifutano le divise. Hanno una marea di opzioni grazie ai negozi come Forever21 e Hennes & Mauritz (H&M), grazie al web e ai social media riescono a ideare uno stile molto più individuale. Abercrombie potrebbe rispondere al desiderio di distinguersi di questa generazione, ma i suoi prodotti di oggi non riescono a comunicare nulla di tutto ciò».
Una rivale di Abercrombie, American Eagle Outfitters (AEO), che ha aumentato le vendite del 17 per cento nel primo trimestre dell’anno e del 9 per cento nel secondo, è riuscita ad inserire nella sua collezione articoli di moda come le camicie con il colletto alla Peter Pan, mentre Abercrombie continua a proporre le stesse magliette da 30 dollari. David Maddocks, ex direttore marketing di Converse che ora gestisce una società di consulenza, critica la strategia commerciale dell’azienda fin dai suoi cartelloni pubblicitari: «Ci sono un ragazzo e una ragazza poco vestiti. E vuoto, non c’è un’idea di base».
A qualcuno però i commessi modello e la musica ad alto volume continuano a piacere: dopo il periodo del successo sudeuropeo ora è il momento dell’Asia. Il punto di forza di Abercrombie ora è il negozio di Hong Kong, che ha aperto ad agosto e nei suoi primi cinque giorni ha incassato più di un milione di dollari. Ora l’azienda di Jeffrey sta pensando di aprire altri punti vendita in Cina e nel Medioriente. «Anche se – commenta Martin Lindstrom, autore di Buyology: Truth and Lies About Why We Buy – in un mondo così iperconnesso non ci vorrà molto tempo perché il marchio perda tutto il suo fascino anche tra gli adolescenti di Dubai e Shanghai».
L’apertura del negozio di Abercrombie & Fitch a Hong Kong (Laurent Fievet/GettyImages)