Tutti possono diventare Papa
Su Repubblica Adriano Sofri racconta il cardinal Martini, che a un certo punto si pensò potesse prendere il posto che è di Ratzinger
Venerdì è morto a Milano il cardinale Carlo Maria Martini, 85 anni, ex arcivescovo di Milano nominato da Giovanni Paolo II, che nell’ultima parte della sua vita aveva vissuto a lungo a Gerusalemme e che era sempre stato considerato una figura “progressista” all’interno della Chiesa. Dopo la morte di Giovanni Paolo II, molti avevano pensato proprio a lui come suo successore, mentre ad essere scelto fu Joseph Ratzinger, l’attuale Benedetto XVI.
(L’ultima intervista rilasciata dal cardinal Martini al Corriere della Sera)
Su Repubblica di oggi, Adriano Sofri ha scritto un articolo intitolato “L’uomo della speranza”, in cui ne ha descritto la figura e ne ha raccontato la sua vicinanza ai carcerati, ai poveri, il suo ruolo di importante mediazione negli anni del terrorismo, ma soprattutto la sua disponibilità alla comprensione di tutti, credenti o non credenti che fossero:
«Non so oggi, ma una volta per i ragazzini tirati su nella fede la chiesa era anche una possibilità di immaginare la più straordinaria promozione sociale o la più emozionante avventura. Di diventare Papa — tutti possono diventare Papa, non è come fare il farmacista — o missionario in Congo o in Patagonia.
Così rileggo le biografie di Martini, persona pur aliena dall’avventura fisica. Un ragazzino che decide che la sua vita sarà quella di un uomo di chiesa. A 17 anni, 1944, l’ingresso nella Compagnia di Gesù. Prete a 25. Biblista prestigioso, che affianca al magistero romano una personale messa alla prova accanto ai propri poveri — il rischio della chiesa è infatti di lodare la povertà e scansare i poveri: mette allegria il racconto delle persone di Sant’Egidio, su Martini che accudisce un anziano povero irascibile e anticlericale, come il non credente che vada ad accudire il povero bigotto e si sorbisca sorridendo le sue geremiadi. Poi la scelta imprevista di Karol Wojtyla che lo toglie all’accademia e lo manda, lui mai stato curato d’anime, arcivescovo a Milano, la più grande e delicata diocesi del mondo: ci resterà 22 anni, gli anni del terrorismo e poi della cosiddetta tangentopoli. Si sono ricordati episodi di riscatto civile e umano che furono allora inutilmente controversi e che ebbero invece un sapore manzoniano: i militanti di Prima Linea che se ne congedarono depositando il loro arsenale di armi in vescovado, la decisione dell’arcivescovo di dare il battesimo ai due gemelli concepiti in un’aula di tribunale da due di quei militanti, che l’avevano chiesto. Le iniziative pastorali, il “Farsi prossimo”, la Cattedra cosiddetta dei non credenti. Ieri ho sentito un passante milanese, intervistato da un notiziario, che diceva: «Dialogava con tutti, ebrei, musulmani, buddisti, perfino coi non credenti». Mi è venuto da sorridere per quel “perfino”. È successo infatti alla nostra società di essere talmente assorbita dalla nozione della necessità di un confronto fra le religioni — quando non da un’ottimistica fiducia nella fratellanza (sorellanza meno…) fra “le tre grandi religioni monoteiste” — da dimenticare che il pregio più caro della nostra civiltà, pagato a così caro prezzo, sta nella confidenza e nella naturalezza con cui conviviamo, nella stessa famiglia, nella stessa cerchia di amici, negli stessi partiti e sindacati e tram e bar e chiese e stadi, fra credenti e non credenti. L’ecumenismo non esisterebbe senza questa premessa.»
(Continua a leggere sulla rassegna stampa del blog Triskel)
Foto: Gregorio Borgia