Il misterioso Michael Cimino
L'eccentrico regista del più grande fallimento cinematografico della storia che è stato premiato ieri a Venezia si confrontò dieci anni fa con le voci sul suo aspetto e la sua età
Michael Cimino, il regista americano vincitore di 5 premi Oscar con Il cacciatore e subito dopo regista di uno dei più grandi fallimenti della storia del cinema americano – I cancelli del cielo – è stata celebrato e premiato ieri alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Riparando così a quella che il direttore del Festival Alberto Barbera ha definito “una delle più grandi ingiustizie nel mondo del cinema”: dopo l’uscita nel 1980 di I cancelli del cielo, lo studio cinematografico United Artists che l’aveva finanziato finì in bancarotta e Michael Cimino sparì per vent’anni dalla scena pubblica.
La storia di Cimino è letterariamente straordinaria. La raccontò dieci anni fa Vanity Fair in un articolo memorabile, dopo anni di voci e misteri su di lui: nel 2002 Cimino accettò per la prima dopo il suo lunghissimo ritiro di farsi intervistare da Steve Garbarino raccontando il suo grande successo e l’improvviso fallimento, i pettegolezzi e le accuse di Hollywood nei suoi confronti, ma anche la sua radicale trasformazione fisica proprio dopo il 1980. Ne uscì un lungo racconto rivelatore.
Garbarino spiega di aver incontrato Cimino alle otto del mattino in un bar sulla Sunset Strip, a Hollywood, frequentato abitualmente dal regista. Che se ne stava seduto a un tavolo “con il suo solito piatto davanti: uova strapazzate, pancetta, patate fritte”. E una tazza di caffè che riempiva circa ogni cinque minuti. “Nel 1978 era un ragazzo prodigio di Hollywood”, quando raccontò il Vietnam ne Il cacciatore (The Deer Hunter) il film con Robert De Niro considerato uno dei grandi capolavori del cinema mondiale.
Ma solo due anni dopo, a causa de I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), la carriera di Cimino fu distrutta e lui venne sottoposto a un potente attacco ideologico da parte della critica Usa per aver osato mettere in discussione il cosiddetto “sogno americano”: Vincent Canby, critico del New York Times, disse ad esempio che Cimino aveva “venduto l’anima al diavolo per ottenere il successo de Il cacciatore” e che “il diavolo aveva fatto ritorno per raccogliere un disastro senza riserve”.
Per girare I cancelli del cielo la casa cinematografica United Artists aveva concesso a Cimino un budget di circa 12 milioni di dollari che arrivarono a quarantaquattro durante le riprese. Ma fece fallimento a causa degli incassi scarsissimi (neanche 1 milione e mezzo di dollari). Il film, con Kris Kristofferson, Christopher Walken, Isabelle Huppert e Jeff Bridges, è un lungo ed epico racconto western che mette in scena lo sterminio di un gruppo di contadini immigrati dall’est (ladri, ma per necessità) da parte di mercenari assoldati da ricchi baroni del bestiame.
Michael Cimino ha sempre difeso il suo film (di cui ha scritto anche la sceneggiatura) nella convinzione che fosse una vera e propria opera d’arte. L’insuccesso di pubblico (il film durava 3 ore e 39 minuti, tra l’altro: tagliati a 2 ore e 29 dopo una settimana) e critica riguardò in effetti soprattutto gli Usa. Ma molti critici, soprattutto in Europa, difesero con forza questo “capolavoro maledetto” definendolo “il più grande film americano degli ultimi dieci anni (…) così ricco che proprio tale complessità di significati ha lavorato contro la sua popolarità” (Financial Times). Ieri a Venezia Cimino, “dopo un rifiuto durato 33 anni”, ha accettato di rivedere la sua opera in una nuova versione rimasterizzata della durata originale di 219 minuti.
Dopo il fallimento, Michel Cimino si ritirò dalle scene (“La maggior parte dei suoi amici non ha mai messo piede a casa sua, neppure Mickey Rourke, un caro amico che ha partecipato a tre film di Cimino”, dice il giornalista di Vanity Fair). Nell’intervista, è lo stesso Cimino a spiegare la motivazione del suo silenzio:
«Alcune persone pensano che io sia tutto matto. Altri pensano che io sia un drogato e dicono che i 50 mila dollari del mio budget per “I cancelli del cielo” li ho spesi in cocaina. Dicono anche che sono un alcolizzato. Ma non lo sono, nonostante le voci contrarie. Tutte le cose che la gente pensa di me non sono vere. È per questo che non ho mai voluto rispondere sulla stampa, perché sono accuse ridicole».
Dopo I cancelli del cielo Micheal Cimino ha diretto altri quattro film: L’anno del dragone del 1985 (l’unico che ebbe qualche risonanza), Il siciliano (1987), Ore disperate, remake del 1990 del thriller con Humphrey Bogart del 1955, e Verso il sole (1996). Senza comparire mai in pubblico: Joe D’Agostino, montatore di Verso il sole, ricorda il suo primo incontro con il regista: “Un po’ inquietante: fui portato in questa sala di montaggio oscurata con tende di velluto nero, e c’era questo ragazzo curvo. Tutti parlavano a bassa voce: lui aveva qualcosa che gli copriva il viso, un fazzoletto. E a nessuno è stato dato il permesso di riprendere la sua immagine”.
Gli anni del suo isolamento sono stati circondati da una serie di vicende poco chiare. Innanzitutto quella legata all’età: «Risolviamo la questione una volta per tutte», dice nell’intervista. E mostrando quella che sembra essere la fotocopia del suo passaporto indica come data di nascita il 3 febbraio 1952 anche se all’anagrafe risulta essere nato nel 1939. Ma i pettegolezzi furono legati soprattutto alla sua radicale trasformazione fisica prima e dopo il fallimento: circolava ad esempio la notizia, da lui sempre smentita, che fosse un transessuale e che avesse deciso di sottoporsi a un’operazione di cambio di sesso.
Nel bar dove si svolge l’intervista di Vanity Fair c’è una fotografia di Cimino del 1977: “Ha un viso un po’ paffuto” scrive il giornalista “capelli ondulati, scuri, e un naso prominente. (…) Anche tenendo conto dei 25 anni che ci separano da quando è stata scattata, l’uomo della foto e l’uomo seduto di fronte a me non sembrano per niente uguali”. Molto simili sono invece l’uomo che stava seduto davanti al giornalista nel 2002 e l’uomo che è apparso ieri a Venezia.
Michael Cimino è molto più magro, ha una frangia di capelli chiari che gli cade sulla fronte, le sue sopracciglia sono curate, il naso molto piccolo e le labbra sembrano rifatte, così come gli zigomi. Non ci sono rughe visibili sulla sua fronte e la sua mascella sembra diversa, ma è lui stesso a spiegare i cambiamenti. «C’è una ragione molto semplice». E dice che sui set cinematografici si mangia male e velocemente, dice di essere ingrassato molto durante le riprese de I cancelli del cielo («Mi sembrava di essere una faccia incollata a un palloncino, cazzo!») e così ha deciso di perdere peso. Sulla mascella: «Non avevo il giusto allineamento. I miei denti erano a posto, ma la mia bocca era troppo piccola». Dice anche di non aver subito alcun intervento agli zigomi e di essere stato biondo fino all’età di 12 anni: «Sono sempre stato biondo».
Nell’intervista Cimino non parla volentieri della propria famiglia (“troppo doloroso”). E quando il giornalista chiede se abbia subito degli abusi lui risponde che c’è di peggio: «Essere ignorati». E spiega: «Dopo essere stato nel mondo del cinema per cinque anni, ricevo una telefonata da mia madre, che dice: “Bene, adesso so che sei famoso”. Io dico: “Perché?”. E lei risponde: “Il tuo nome è sul cruciverba del New York Times”».
Parlando di sé da bambino dice di essere stato «un prodigio. Come Michelangelo, che poteva disegnare un cerchio perfetto all’età di cinque anni. Ero estremamente dotato». Dice di non essere mai stato sposato («Una cosa stupida, si va in una cappella di plastica a Las Vegas, ci si sposa in 10 minuti, e ci vogliono 10 anni per divorziare») e di avere avuto una figlia durante il suo primo anno di college, senza rivelarne il nome né quello della madre. Ma Cimino si stanca presto di parlarne (scrive il giornalista). E conclude: «La mia vita personale sono il lavoro, il sesso e le automobili. Ho forse meno di molte altre persone, credo. Ma quello che ho è grande e fantastico».