Si è concluso il processo degli oligarchi russi
L'Alta Corte di Londra ha dichiarato innocente Roman Abramovich dalle accuse di Boris Berezovsky di aver estorto quote di partecipazione e non aver rispettato gli accordi della loro ex società petrolifera
L’Alta Corte di Londra ha respinto «nella loro interezza» le accuse del magnate russo Boris Berezovsky al suo ex socio d’affari Roman Abramovich relative ai tempi in cui erano soci e proprietari della compagnia petrolifera russa Sibneft. Berezovsky aveva fatto causa ad Abramovich con l’accusa di aver violato i contratti e di avergli intimato di vendere le proprie quote di partecipazione della loro società, chiedendo come risarcimento 6,8 miliardi di dollari. Persa la causa, dovrà risarcire le spese legali. Jim Diamond, avvocato specializzato sui costi processuali, ha stimato che il processo sia costato in totale circa 188 milioni di euro. Le dimensioni economiche della causa e la notorietà dei protagonisti – Abramovich è proprietario tra l’altro della squadra del Chelsea – hanno dato molto spazio agli sviluppi del processo sui media britannici. Entrambi gli ex oligarchi hanno ottenuto asilo in Gran Bretagna, dove l’Alta Corte è stata in queste anni scelta come sede per risolvere dispute finanziarie per casi riguardanti l’Europa dell’Est anche per quella che è ritenuta una sua maggiore affidabilità e imparzialità
Il giudice Justice Gloster ha spiegato che la testimonianza di Roman Abramovich è stata giudicata «veritiera e affidabile nel complesso». Abramovich ha sempre sostenuto che Berezovsky, all’interno della società, aveva un ruolo da «padrino politico» nei rapporti con il governo russo, e di averlo pagato per questo con centinaia di milioni di dollari. Il processo è durato nove mesi: per cinque mesi sono stati discussi gli atti e i documenti, negli altri quattro sono stati ascoltati i testimoni. Sono stati coinvolti molti protagonisti del mondo degli oligarchi russi, proprietari di compagnie petrolifere e politici russi.
Berezovsky e Abramovich erano soci della Sibneft, una delle compagnie petrolifere russe più ricche e potenti. Nei primi anni novanta Abramovich comprava il petrolio greggio (così come viene estratto dai giacimenti) da un’azienda petrolifera siberiana e lo rivendeva all’estero, a prezzi più alti, alle aziende che lo raffinavano (cioè lo trattavano per poi venderlo sul mercato). Abramovich decise di comprare sia l’azienda siberiana da cui acquistava il petrolio greggio, sia quella in cui lo faceva raffinare. Ma per riuscirci chiese l’appoggio del governo russo, dato che le due aziende erano di proprietà dello Stato. E per questo si rivolse a Boris Berezovsky, che all’epoca era un matematico con molti amici nel governo dell’ex presidente russo Boris Eltsin.
Berezovsky aveva da poco ottenuto il controllo del principale canale televisivo russo, ORT. E convinse Eltsin ad accettare la fusione delle due aziende petrolifere e acconsentire alla loro privatizzazione, promettendogli in cambio il sostegno, con il suo canale televisivo, per la campagna elettorale del 1996. Le due aziende si fusero nella Sibneft. Berezovsky ha sostenuto durante il processo che l’accordo con Abramovich prevedeva una spartizione delle quote dell’azienda al 50 per cento ciascuno.
Secondo Abramovich il suo socio iniziò a chiedere soldi prima ancora che l’azienda fosse costituita e negato la quota dell’accordo. I profitti e la suddivisione delle quote societarie della Sibneft non sono mai stati resi pubblici. Abramovich ha detto anche che la società pagò a Berezovsky otto milioni di dollari nel 1995, per pagare i debiti del suo canale televisivo. Nel 2000 i due soci spesero 50 milioni di dollari per sostenere la campagna elettorale di Vladimir Putin. Il nuovo presidente russo però iniziò a sospettare di Berezovsky e degli intrecci tra i suoi affari e il mondo della politica russa, fino a costringerlo a lasciare il paese nell’ottobre dello stesso anno.
Berezovsky ha sempre accusato Abramovich di non averlo aiutato con Putin, anzi di averlo scaricato e di aver approfittato della sua assenza per guadagnare ancora di più con la loro società. I due si incontrarono in un ristorante di Parigi nel dicembre del 2000 per parlare di affari insieme al magnate georgiano Badri Patarkatsishivili, che scrisse un resoconto di quell’incontro, diventato un atto molto importante del processo.
Berezovsky ha sostenuto che quella conversazione dimostrasse che Abramovich acconsentì a ufficializzare le sue quote dell’azienda, che fino a quel momento erano rimaste invisibili per non destare sospetti di conflitti d’interesse politici. Ma Abramovich ha sempre negato. Il resoconto scritto da Patarkatsishivili confermava che nell’incontro Abramovich chiese a Berezovsky di firmare un documento, in cui si impegnava a vendergli le sue quote del canale televisivo statale.
I tre si incontrarono di nuovo in Francia, a Courchevel, nel gennaio del 2001. Patarkatsishivili propose di liquidare il problema dando a Berezovsky 1,3 miliardi di dollari. E Abramovich ha confermato questa versione in tribunale. Ma Berezovsky ha detto che quella cifra era molto minore rispetto al valore delle sue azioni, chiedendo 6.8 miliardi di dollari. Nel 2005, Abramovich vendette la Sibneft al gigante del petrolio russo Gazprom per 13 miliardi di dollari.
Foto: Boris Berezovsky (Warrick Page/Getty Images)