L’uomo dietro Justin Bieber
Il New Yorker racconta Scooter Braun, il 31enne che si occupa di un'industria che con la musica e i dischi ha a che fare solo in parte
Dire che Scooter Braun è il “manager” di Justin Bieber è estremamente riduttivo. È lui che dopo averlo visto cantare seduto su un divano sgualcito in un video su You Tube ha deciso di prendere un aereo per Stratford, in Canada, e ha convinto Bieber e sua madre a trasferirsi ad Atlanta, in Georgia. Appena quattro anni dopo, la fama di Justin Bieber si può definire senza paura di esagerare, planetaria. Il suo canale di YouTube ha superato i tre miliardi di visualizzazioni e il suo profilo Twitter acquista un nuovo follower al secondo. Il suo ultimo concerto al Madison Square Garden ha fatto il tutto esaurito in 30 secondi. «Justin è nato con i poteri di Superman. Sa cantare, ballare e suonare – ha raccontato Braun in un lungo ritratto sulla rivista statunitense New Yorker – Io non sono nato con questi doni, così mi sono trasformato in un altro tipo di supereroe».
Bieber non è l’unico artista “emergente” a far parte della “scuderia” di Braun. Dall’inizio di quest’anno anche The Wanted, una band inglese, e la cantante canadese Carly Rae Jepsen, hanno un contratto con una delle sue etichette discografiche, la Schoolboy Records. Per promuoverli, ha chiesto a Bieber di girare un video con loro, mentre ballano su Call me maybe, una canzone di Jepsen che ha poi spopolato in mezzo mondo. Durante l’estate Bieber, The Wanted e Carly Rae Jepsen sono entrati nei primi posti della Billboard Hot 100, la classifica dei singoli più venduti e più trasmessi nelle radio degli Stati Uniti.
(Chi accidenti è Justin Bieber, 2010)
Braun usa Bieber per promuovere i suoi nuovi clienti, ma non solo: divide con lui i suoi guadagni al 50 per cento. Il mese scorso Bieber ha presentato con un tweet ai suoi fan il nuovo cliente di Braun, Madison Beer. Pochi minuti dopo, il suo nome era un trend mondiale.
Nell’industria della musica di oggi, spiega il New Yorker, pochissime persone possono permettersi di vendere musica e basta. Braun ha trasformato la SB Project, la sua piccola società con dodici dipendenti, in una molto più grande che si occupa anche di film, editoria e gadget di ogni genere. La Universal, una delle quattro grandi compagnie della distribuzione musicale, di recente ha firmato un contratto con Braun per distribuire i suoi prodotti. Gran parte del lavoro di Braun non consiste nel far vendere più dischi ai suoi clienti, ma nell’elaborare una strategia di marketing efficace. «In questi anni le vendite dei cd sono diminuite drasticamente, ma tutte le altre attività sono in crescita: diritti, gadget, vendite digitali. Dieci anni fa, una pop star non avrebbe mai venduto un profumo con un giro d’affari di 120 milioni di dollari in un anno». Il film sulla vita di Bieber Never say never del 2011 è stato il film-concerto con il più grande incasso nella storia degli Stati Uniti. Ma Bieber ha anche una linea di orologi, zaini, bambole e una collezione di accessori per la casa che comprende anche le tende da doccia. E un contratto con Proactiv per sponsorizzare un trattamento anti-acne.
(Chi accidenti è Justin Bieber, 2010)
Dietro ad ogni successo come il suo, spiega il New Yorker, c’è sempre un manager di successo. Può essere un visionario sottovalutato, che dà tutto per l’artista e poi viene messo da parte, come Andrew Oldham e i Rolling Stones, o un “burattinaio intrigante” come Lou Pearlman, l’impresario dei Backstreet Boys, accusato da Justin Timberlake di “stupro finanziario”. Braun viene spesso paragonato al Colonnello Parker, l’uomo che rese Elvis una star internazionale. Non è un paragone molto lusinghiero, se consideriamo che Parker pretendeva il 50 per cento dei guadagni di Elvis, che chiamava “il mio ragazzo”.
Braun, racconta il New Yorker, è simile a lui perché è prima di tutto un uomo d’affari e, come Tom Parker, tiene molto al culto della sua immagine. Se Parker si firmava “Elvis e il Colonnello”, Braun aggiorna in continuazione il suo account su Twitter, che ha un milione e ottocentomila follower, viene riconosciuto dalle beliebers che urlano il suo nome assieme a quello di Justin e spesso appare nei programmi televisivi come il portavoce di Bieber. Braun dice di tenere per sè il 15 – 20 per cento dei guadagni di Bieber, che lui chiama “il ragazzo”. È molto vicino a Pattie Mallette, la madre di Justin, tanto che dice di avere con lei un rapporto «simile a quello di un fratello e di una sorella» e prima dei concerti pregano insieme e recitano la Shema, una preghiera della liturgia ebraica. «La nostra non è una relazione tra manager e artista: quando lui aveva tredici anni gli ho detto che se anche avesse smesso di ballare e cantare, io sarei stato comunque nella sua vita. E di certo se fosse necessario gli bacerei anche il sedere».
(Justin Bieber da Letterman sulla Cappella Sistina)
Scooter Braun ha 31 anni ed è cresciuto a Greenwich, nel Connecticut, nipote di due ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Dopo un’infanzia passata a giocare a basket nella squadra della città (sport che sostiene aver avuto un ruolo molto importante nella formazione del suo carattere e dei suoi pensieri), andò all’università di Atlanta, dove iniziò a organizzare feste. La cosa gli riusciva bene, tanto che in poco tempo i locali lo pagavano per organizzare le serate. Riuscì a fare del suo nome un brand e a fissare le date delle esibizioni delle celebrità locali, Atlanta era allora una scena molto vivace per la musica. Una sera il produttore Jermaine Dupri si presentò a una delle sue feste con la sua fidanzata dell’epoca, Janet Jackson. Dupri gli disse: «Non andrai a vivere in una villa continuando a organizzare feste» e decise di assumerlo come direttore marketing della sua etichetta, la So So Def. Braun lasciò l’università, qualche anno dopo venne licenziato per dei contrasti sulle scelte, e si mise in proprio.
Dopo aver scoperto su YouTube il talento di Bieber – cercava qualcosa che funzionasse quanto i Jonas Brothers – prima di lanciarlo sul mercato discografico decise di costruire un solido seguito su internet, dove i suoi video avevano già migliaia di visualizzazioni. Fece molta attenzione a riprenderlo con degli strumenti in mano, per sottolineare la sua versatilità. E poi gli chiese di levarsi l’abito buono della domenica e infilarsi una t-shirt. Braun chiama questo lavoro “marketing autentico”, una specie di ossimoro, fa notare l’autrice dell’articolo Lizzie Widdicombe. Solo quando Bieber ebbe raggiunto 54 milioni di visualizzazioni su You Tube, Braun convocò 12 manager delle case discografiche più importanti di Los Angeles e New York.
Dopo qualche tempo, fu in grado di scegliere l’offerta più vantaggiosa per sé e il suo ragazzo.