Con tutte quelle bollicine
Piaccia o no, il disincentivo di Stato sulle bevande gassate e su ogni altra cosa funziona: lo spiega Mattia Ferraresi sul Foglio
“Nudge” era il titolo di un interessante libro di qualche anno fa i cui autori spiegavano l’efficacia dei sistemi di incentivi e stimoli che spingono i cittadini ad avere comportamenti etici o a fare le scelte migliori per se stessi, lasciando loro la libertà di scelta. È un tema che comprende anche le riflessioni che Mattia Ferraresi del Foglio – critico sulle tassazioni di stato degli alimenti considerati pericolosi, come le bevande gassate – fa a proposito dell’indiscutibile efficacia che queste tassazioni hanno nel modellare le esigenze delle persone.
La truffaldina teleologia delle tasse sulle bevande gassate, dolcificate o dimezzate (a seconda che si consideri il modello italiano, francese o newyorchese) per indurre il trionfo del bene collettivo sul male che il singolo infligge a se stesso ha il sapore poco zuccheroso di un paternalismo orientato più che altro al bene delle casse dello stato, come ha osservato Piero Ostellino ieri sul Corriere con copiosi argomenti liberali. Il problema dei vari disegni di legge che mirano a ridurre l’accesso a bibite che danneggiano la salute dei cittadini – questa la ratio addotta da promotori ed estensori – è che una volta applicati tendono a funzionare benissimo. Il galtiano moto di ribellione a uno stato che entra negli scaffali del supermercato e fa sparire la Sprite in nome del vitello d’oro della salute ha una vita piuttosto breve, dopo di che scatta il meccanismo del “default bias”, la naturale preferenza per l’opzione più ovvia, quella standard, che James Surowiecki ha esplorato qualche settimana fa sul New Yorker. Si parte con la crociata per la libertà di scelta e si finisce con il desiderare quel che passa lo stato.
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