Lo sciopero del sesso funziona?
È stato proposto di recente in Togo da una leader dell'opposizione per chiedere le dimissioni del presidente e ci sono diversi precedenti, nella storia
Isabelle Ameganvi, una delle leader del gruppo di opposizione Let’s Save Togo, domenica scorsa durante un comizio a Lomè, la capitale del paese, ha proposto alle donne togolesi di iniziare uno sciopero del sesso di una settimana per chiedere le dimissioni del presidente Faure Gnassingbe. In Togo, dove da mesi centinaia di persone protestano contro il governo e la riforma della legge elettorale, l’idea non è piaciuta a tutti, nemmeno tra alcuni esponenti dell’opposizione: «Una settimana è troppo lunga – ha commentato di fronte a una platea divertita Jean-Pierre Fabre – Possono bastare anche due giorni».
Lo sciopero del sesso è nella maggior parte dei casi un modo per attirare l’attenzione dei media: un articolo su Slate della rubrica “Explainer” si chiede se possa essere davvero utile. Le donne dell’opposizione togolese si sono ispirate alle Women of Liberia mass action for peace, il movimento pacifista che nel 2003 contribuì alla fine di una sanguinosa guerra civile durata quattordici anni. In quel caso però la loro strategia fu più ad ampio raggio: oltre allo sciopero del sesso, il movimento organizzò sit-in e manifestazioni di massa.
Leymah Gbowee, una delle leader del movimento pacifista, scrisse che un mese di sciopero non ebbe molte ripercussioni pratiche, ma fu estremamente utile nell’attirare l’attenzione dei mezzi di comunicazione internazionali. Gbowee nella sua biografia racconta che anche dopo anni, la prima domanda che tutti le fanno è «Che mi dici dello sciopero del sesso?».
Tra i primi a raccontare uno sciopero del sesso ci fu Aristofane intorno al 400 avanti Cristo con la sua Lisistrata. La commedia racconta la vicenda di una donna di Atene, Lisistrata, che raccoglie molte donne della città per affrontare un serio problema: gli uomini non si occupano più delle loro famiglie perché sono sempre impegnati nelle battaglie della guerra del Peloponneso. Lisistrata propone quindi di indire uno sciopero del sesso, da portare avanti fino alla firma della pace da parte dei loro uomini. L’astinenza si rivela più difficile del previsto, per entrambi i sessi, e dopo l’alternarsi di alcune vicende viene infine raggiunta la pace e il ritorno delle donne dai loro mariti.
Commedie a parte, gli scioperi del sesso sembrano avere più successo quando le richieste sono specifiche, portate avanti per lungo tempo da un considerevole numero di persone. L’anno scorso nella città di Dado, nell’isola di Mindanao nelle Filippine, un gruppo di donne è riuscito a porre fine alle violenze tra clan rivali grazie a questo sistema. Ma non è l’unico caso. L’anno scorso le donne della città colombiana di Barbacoas hanno dichiarato uno sciopero del sesso durato tre mesi e 19 giorni. Un sacrificio che ha convinto le autorità a migliorare le condizioni delle strade tra Barbacoas e le città vicine: il ministro dei trasporti German Cardona ha promesso di investire 21 milioni di dollari per sistemare una prima parte della vecchia carreggiata.
Ma non sempre queste iniziative hanno successo, soprattutto nei paesi occidentali. L’appello di uno sciopero del sesso della senatrice belga Marleen Temmerman per mettere fine alla crisi politica che ha lasciato il paese senza un nuovo governo per 535 giorni, è stato in un primo momento proposto con serietà, ma alla fine è stato definito dalla stessa Temmerman «solo uno scherzo». E non se ne è fatto nulla neanche dell’appello di un movimento femminile progressista americano di qualche mese fa ad astenersi dai rapporti sessuali in difesa dei diritti delle donne.
La leader dell’opposizione togolese Isabelle Ameganvi Foto:AP/Erick Kaglan