La Corte europea ha bocciato la legge 40
Ma solo in parte: ha accolto il ricorso di una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica, stabilendo che in casi come questi è legittimo ricorrere alla diagnosi pre-impianto
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la legge 40 del 2004, l’insieme di norme che in Italia regola la procreazione assistita, viola la Convenzione europea dei diritti umani nella parte in cui vieta la diagnosi pre-impianto degli embrioni a una coppia sana portatrice di fibrosi cistica. Secondo i giudici europei, il sistema normativo italiano è sotto questo aspetto «incoerente», dato che esiste già un’altra legge che prevede la possibilità di ricorrere all’aborto terapeutico se il feto è affetto da fibrosi cistica.
Ora lo stato italiano dovrà versare a Rosetta Costa e Walter Pavan, la coppia italiana che più di un anno fa aveva presentato il ricorso alla Corte, 15mila euro per i danni morali e 2.500 euro per le spese legali sostenute. In Europa il no alla diagnosi pre-impianto è ancora previsto solo in Italia, Austria e Svizzera.
La legge 40 del 2004, quella che regola la procreazione medicalmente assistita, viola la Convenzione europea sui diritti umani. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Strasburgo, che ha dato ragione a una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica. In particolare, la Corte europea dei diritti umani ha bocciato l’impossibilità per la coppia (fertile) di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni.
Secondo i giudici, la cui decisione diverrà definitiva entro tre mesi se nessuna delle parti farà ricorso, «il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente» in quanto un’altra legge permette di accedere all’aborto terapeutico se il feto è malato di fibrosi cistica. La Corte ha quindi stabilito che la legge 40 viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare di Rosetta Costa e Walter Pavan, cui lo Stato dovrà versare 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali. Nel 2006 i due coniugi hanno avuto una bambina con la fibrosi cistica: allora hanno scoperto di essere portatori sani della malattia. Quando la donna è nuovamente rimasta incinta, nel 2010, si è sottoposta alla diagnosi prenatale e il feto è risultato positivo alla malattia: quindi ha abortito. La coppia ora vuole un altro bambino, ma con la certezza che sia sano. Il che è possibile solo con la screening.