L’insuccesso degli ambientalisti
Giuseppe Sarcina spiega sulla Lettura perché in Italia la storia degli ecologisti è rimasta minoritaria, tirando in ballo anche il caso Ilva
La Federazione dei Verdi, presieduta da Angelo Bonelli, si prepara a fondare un nuovo «soggetto politico» con «un’assemblea programmatica e statutaria» prevista il 13 e 14 ottobre. L’idea è un partito organizzato alla francese e con i contenuti dei tedeschi. Basterà per portare a casa più di un 2-3 per cento alle prossime elezioni? In un articolo sulla Lettura del Corriere della Sera di ieri Giuseppe Sarcina si chiede perchè, nonostante la “cultura ecologista” si sia diffusa anche in Italia, il movimento ambientalista non si sia mai trasformato in una forza politica solida.
C’è stato un tempo, non molti anni fa, in cui gli ambientalisti erano interlocutori obbligati degli industriali. Alla fine degli anni Ottanta partecipavano alle assemblee di Fiat e Montedison, facendo sudare con lunghe liste di domande tignose manager come Cesare Romiti. Chicco Testa e Giovanna Melandri, per esempio, cominciarono così.
Raul Gardini, uno degli imprenditori più in vista dell’epoca (poi suicidatosi nel pieno di Tangentopoli) un giorno d’estate del 1987 invitò a pranzo nella sua casa di Ravenna lo stesso Testa (all’epoca responsabile delle politiche ambientali del Pci) ed Ermete Realacci (a quel tempo presidente di Legambiente). Quasi un summit. Ma perché oggi verrebbe da sorridere immaginando una cosa del genere, magari mettendo l’industriale dell’acciaio Emilio Riva al posto di Romiti o di Gardini?
Da almeno trent’anni il movimento ambientalista italiano vive un frustrante paradosso. Molte idee «ecologiche», importate dall’Europa o dagli Stati Uniti, sono diventate patrimonio comune anche da noi. Salendo e scendendo dalle teorie economiche alla vita quotidiana. Da questo punto di vista le lampadine fluorescenti, la marmitta catalitica o i pannelli solari si incrociano con le previsioni formulate dal «Club di Roma» nel 1972 (è il celebre rapporto I limiti dello sviluppo); con le equazioni di Nicholas Georgescu-Rogen, l’economista rumeno che negli anni Settanta inventò la «Bioeconomia», o ancora con i calcoli sui «costi sociali dell’inquinamento» elaborati dal francese Jean-Philippe Barde e trasferiti nei testi per gli universitari italiani da Emilio Gerelli (solo un titolo come esempio: Economia e politica dell’ambiente, il Mulino 1980).