La copertina anti-Obama di Newsweek
Il principale articolo dell'ultimo numero sostiene che solo Romney e Ryan potranno portare veri cambiamenti e ha fatto molto arrabbiare i democratici
Sulla copertina dell’ultimo numero della rivista statunitense Newsweek c’è una fotografia del presidente Obama con la giacca sulla spalla e il titolo “Hit the road, Barack” (una cosa tipo “Vattene via, Barack”) accompagnato dal chiaro sottotitolo “Perché abbiamo bisogno di un nuovo presidente”. La scelta è allo stesso tempo una piccola svolta e un piccolo segnale di continuità: è una svolta perché fin qui la stampa mainstream statunitense si era schierata quasi sempre dalla parte di Obama, e soprattutto non lo aveva mai criticato con questa virulenza; allo stesso tempo la copertina prosegue il filone delle “copertine scioccanti” di Newsweek, una strategia per attirare l’attenzione dei lettori ormai esplicita e che va avanti da tempo.
L’articolo su Obama sta circolando molto negli Stati Uniti e ha portato a dure critiche da parte dei sostenitori di Obama e della sua campagna elettorale per la rielezione. È stato scritto dallo storico britannico Niall Ferguson, esperto di storia economica (è autore di due volumi sulla famiglia di banchieri Rothschild e sta lavorando alla biografia ufficiale di Henry Kissinger) e docente ad Harvard. Ferguson ha spesso idee poco ortodosse e già in passato fece parlare di sé dopo aver pubblicato un libro sulle cause della Prima guerra mondiale (La verità taciuta, 1998) e più di recente per la pubblicazione di un articolo sul Wall Street Journal sul futuro dell’Europa.
Nel suo articolo, Ferguson spiega che Obama non ha sostanzialmente mantenuto nessuna delle promesse formulate durante la campagna elettorale contro John McCain – di cui Ferguson fu consulente – e durante il discorso di apertura della presidenza nel 2009.
Obama promise “non solo di creare nuovi posti di lavoro, ma di mettere le basi per far riparte la crescita economica”. Promise di “riportare la scienza al posto che merita e di usare le meraviglie della tecnologia per migliorare l’assistenza sanitaria e renderla meno costosa”. E promise anche di “trasformare le nostre scuole, i college e le università per rispondere alle esigenze dei nostri tempi”. Sfortunatamente, i risultati del presidente su ognuna di queste promesse fanno pietà.
Secondo Ferguson, Obama non ha fatto a sufficienza per contrastare la crisi economica e a sostegno della sua tesi propone dati, soprattutto sugli alti livelli di disoccupazione negli Stati Uniti e sui nuovi poveri, che devono ricorrere agli aiuti statali (buoni e sovvenzioni) per andare avanti. Le cose non sono andate meglio con il debito pubblico, che ha raggiunto secondo il Congressional Budget Office (CBO) il 70 per cento in rapporto al prodotto interno lordo. Ferguson accusa Obama di “non aver fatto nulla per chiudere la differenza nel lungo periodo tra spesa e ricavi” per lo stato.
Molti di questi dati sono pubblici e noti da tempo, ma secondo Ferguson fino a ora sono stati sostanzialmente giustificati, dicendo che il cattivo andamento dell’economia è dipeso da una crisi ormai internazionale e dovuta ai precedenti governi. In parte è così, spiega, ma sono comunque passati quattro anni e in questo arco di tempo Obama ha fatto diversi errori politici che non hanno fatto migliorare la situazione: «Dopotutto, il lavoro del presidente è quello di far funzionare con efficacia il ramo esecutivo: guidare la nazione. Ed è stato su questo punto il suo più grande fallimento».
Ferguson se la prende con Obama anche per come sono andate le cose con la riforma sanitaria (Patient Protection and Affordable Care Act – ACA), che secondo lui non avrebbe affrontato alla radice il vero problema del sistema statunitense: il costo crescente del Medicare, il sistema di assicurazione medica federale per le persone oltre i 65 anni con particolari requisiti. L’ACA non piacque all’opinione pubblica e per Ferguson fu uno dei principali motivi del recupero dei repubblicani durante le elezioni di metà mandato del 2010. Obama disse che la riforma non avrebbe pesato sul deficit degli Stati Uniti, ma le cose sono andate diversamente secondo il CBO.
Per quanto mi riguarda, il più grande fallimento del presidente è stato quello di non pensare alle implicazioni di questo genere di sfide per il potere americano. Distante dal creare una strategia coerente, pensò – forse incoraggiato dal prematuro premio Nobel per la pace – che sarebbe bastato andare in giro per il mondo e fare discorsi toccanti spiegando di non essere George W. Bush.
Distante dalle idee dei neoconservatori, prosegue l’articolo, Obama si è perso l’ondata di rivolte e rivoluzioni nei paesi arabi, che gli stessi neocon avevano sperato di innescare dopo la caduta di Saddam Hussein in Iraq. Il presidente aveva la possibilità di costruirsi un proprio ruolo nella vicenda della cosiddetta primavera araba ma per molti versi ha preferito non fare nulla, lasciando che tornassero a prevalere le forze della reazione. La rivolta in Iran è stata fermata dalle autorità locali, e lo stesso rischia di avvenire ora in Siria. In Libia è stato persuaso a intervenire, nel caso dell’Egitto ha avuto posizioni poco chiare e ondivaghe, che hanno scontentato tutti. Gli Stati Uniti, anche in seguito a queste incapacità di prevedere e gestire i cambiamenti nella geopolitica, hanno visto vacillare la loro posizione di superpotenza.
Ferguson conclude il proprio articolo contro Obama occupandosi anche di Mitt Romney, il candidato repubblicano alle presidenziali di novembre, e del vice che si è scelto, Paul Ryan. Romney non è il miglior candidato possibile per la Casa Bianca, ammette, ma è sicuramente la scelta migliore se confrontato con gli altri candidati che si sono contesi le primarie. Ryan è una buona scelta, spiega, per i suoi piani legati all’economia e alla riduzione della spesa pubblica. La conclusione è comunque per il presidente in carica che cerca la rielezione:
Ora gli elettori hanno davanti una netta scelta da fare. Possono lasciare che la narrazione sconclusionata e solipsistica di Obama continui fino a quando si troveranno a vivere in una versione americana dell’Europa, con bassa crescita, forte disoccupazione, debito pubblico più alto e un declino nella geopolitica. Oppure potranno scegliere per il vero cambiamento: il cambiamento che porterà alla fine di quattro anni di economia sotto le aspettative, che fermerà il terrificante accumulo di nuovi debiti e che riporterà le basi fiscali per la sicurezza nazionale americana. L’ho detto già in precedenza: è una scelta tra les États Unis e L’inno di battaglia della Repubblica. Sono stato un buon perdente quattro anni fa. Ma quest’anno, entusiasmato dall’avvento di Ryan, voglio davvero vincere.
L’articolo di Newsweek è stato accolto con molto favore dai sostenitori dei repubblicani, mentre ha ricevuto dure critiche da chi sostiene Obama e dagli ambienti della società civile vicini ai democratici. C’è chi si è spinto oltre la semplice critica della tesi generale di Ferguson, smontando paragrafo per paragrafo il suo lungo articolo proponendo obiezioni e letture diverse dei dati esposti. Anche il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, si è occupato della vicenda con un breve post sul suo blog ospitato sul sito del New York Times. L’economista ha criticato Newsweek per non aver effettuato sufficienti controlli sui dati esposti da Ferguson nel suo pezzo, specialmente sull’effettivo peso della riforma sanitaria sul deficit federale.
I lettori sono indotti a credere senza dubbio che il CBO abbia scoperto che la legge farà aumentare il deficit. Ma chiunque abbia letto il rapporto, o lo abbia anche solo sfogliato, sa che il CBO previde che la legge avrebbe ridotto, non aumentato, il deficit. […] Ora, alle persone di destra piace dire che il CBO ha sbagliato. Ma questo non è il tipo di argomento che propone Ferguson: sta deliberatamente ingannando i lettori, dando l’impressione che il CBO abbia respinto l’affermazione di Obama sul fatto che la legge non avrebbe influito sul deficit, mentre la verità è l’esatto contrario.
Nel suo post Krugman critica principalmente Newsweek per non aver fatto sufficienti controlli sui contenuti dell’articolo, ma l’intenzione è chiaramente quella di criticare Ferguson con il quale ha da tempo rapporti poco cordiali. Nel 2009 i due si confrontarono sulla politica economica seguita da Obama e Krugman accusò il suo interlocutore di basare le sue analisi su “errori fondamentali” definendolo un “impostore” che non si è mai “preso la briga di capire i fondamenti dell’economia, facendo affidamento su commenti maligni per dare l’impressione di essere intelligente”, di essere “tutto stile e privo della capacità di comprendere la sostanza delle cose”.