L’ILVA di Taranto dovrà fermarsi
O forse no: la settimana prossima deciderà il tribunale del riesame, e dopo due settimane i 20 mila operai non sanno ancora se potranno continuare a lavorare
Il Giudice per le indagini preliminari (GIP) di Taranto Patrizia Todisco ha ordinato che l’ILVA di Taranto, l’acciaieria che era stata posta sotto sequestro il 28 luglio per il pericolo di inquinamento, arresti la produzione. L’azienda ha già dichiarato che impugnerà la richiesta davanti Tribunale del riesame, che dovrebbe esprimersi in proposito martedì o mercoledì. L’ILVA di Taranto è la più grande acciaieria d’Europa, produce un terzo dell’acciaio italiano e dà lavoro a circa 11 mila persone.
Sono passate più di due settimane dalla prima ordinanza di sequestro e ancora non è stato deciso chiaramente se l’ILVA dovrà fermare la produzione (e quindi chiudere) oppure se potrà continuare a lavorare. In questo periodo ci sono stati 4 diversi pronunciamenti di poco meno di una decina di giudici e magistrati e alcuni (com’è normale in questi casi) hanno sconfessato decisioni di altri.
Per spiegare che cosa è accaduto in queste due settimane bisogna chiarire che un’azienda sotto sequestro non è sempre costretta a fermare la produzione. L’effetto principale di un sequestro è che il tribunale nomina alcuni “custodi giudiziari” che si occuperanno di gestire la proprietà in attesa di una decisione definitiva. Spesso alcuni dei custodi giudiziari sono manager dell’azienda sequestrata, mantenuti al loro posto per garantire una continuità nella produzione.
Nel caso dell’ILVA tra i custodi giudiziari era stato nominato proprio il presidente dell’ILVA Bruno Ferrante, l’ex prefetto di Milano che sfidò Letizia Moratti alle penultime elezioni comunali di Milano. Dal giorno del sequestro, due settimane fa, ad oggi, gli impianti sono sempre rimasti attivi e la produzione è continuata. Questo è stato possibile perché l’originale ordinanza che imponeva il sequestro è stata impugnata davanti al tribunale del riesame e quindi alcuni suoi effetti sono rimasti “sospesi” in attesa di una decisione.
Il riesame avrebbe dovuto decidere in pochi giorni, ma l’udienza si rivelò troppo complicata e la decisione slittò fino al 7 agosto. Ma il pronunciamento del tribunale, quando è arrivato, non è stato particolarmente chiaro. Secondo l’interpretazione più diffusa la decisione del Tribunale del Riesame era una conferma del sequestro con una “facoltà d’uso” degli impianti. Cioè l’ILVA poteva continuare a produrre acciaio, mentre tecnici e ingegneri cominciavano la messa in sicurezza e la bonifica delle apparecchiature. L’interpretazione del GIP è stata differente: l’impianto deve chiudere e la produzione si deve fermare.
Il GIP lo ha comunicato insieme a un’altra ordinanza che modifica la composizione del gruppo di custodi giudiziari che si stanno occupando dello stabilimento. Prima i quattro custodi, tra cui il presidente ILVA Bruno Ferrante, erano “alla pari”. Con la sua ordinanza il GIP ha di fatto esautorato Ferrante, che si dovrebbe occupare di aspetti marginali della gestione, mentre ha assegnato i poteri principali ad un altro custode, uno degli ingegneri esterni all’ILVA.
Il problema principale dello spegnimento degli impianti è che i cinque altiforni, cioè la parte centrale di un acciaieria, dove viene prodotta la ghisa, quasi certamente non riusciranno più ad accendersi. Un altoforno ha una vita media di una quindicina d’anni, durante la quale deve sempre restare acceso. Disattivarlo senza romperlo è quasi impossibile, e anche nel caso di buona riuscita sono necessari dagli 8 ai 15 mesi per riattivarlo. “E poi, se non produco, come faccio a pagare 12 mila persone?”, ha aggiunto Ferrante.