Alfano e Lumia dai boss della mafia
Perché i due parlamentari hanno incontrato in carcere Bernardo Provenzano e che cosa stabilisce la legge in questi casi
di francesco marinelli
Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo in cui raccontava la visita ad alcuni esponenti della mafia e della camorra in carcere, da parte di Sonia Alfano (eurodeputato dell’Italia dei Valori e presidente della Commissione europea sulla criminalità organizzata, figlia del cronista Beppe Alfano ucciso dalla mafia siciliana) e di Giuseppe Lumia (senatore del Partito Democratico e membro della Commissione parlamentare antimafia). Lo scopo delle visite, come ammesso dai due parlamentari, era quello di convincere i boss a collaborare con lo Stato nei processi in corso e di aiutare a fare chiarezza sulla ipotetica trattativa tra alcuni esponenti delle istituzioni e quelli della criminalità organizzata nei primi anni ’90, la cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia. Oltre a Bernardo Provenzano, boss siciliano di Corleone arrestato l’undici aprile 2006 dopo quarant’anni di latitanza, i due politici hanno fatto visita anche al capo del gruppo camorrista dei Casalesi Francesco Bidognetti e Antonino Cinà, medico mafioso imputato per la presunta trattativa.
La prima visita fu effettuata il 26 maggio scorso: Giuseppe Lumia e Sonia Alfano si recarono al carcere di Parma per parlare con Bernardo Provenzano e proporgli una collaborazione con i magistrati della Procura antimafia di Palermo. Durante il colloquio, scrive il Corriere della Sera, Provenzano avrebbe accettato la proposta: «Sì, ma i miei figli non devono andare al macello». E alcuni giorni dopo, a trovare Provenzano andarono i magistrati palermitani, in assenza dell’avvocato del boss siciliano. Il 4 luglio, dopo che a Provenzano fu comunicata la chiusura delle indagini sull’omicidio di Salvo Lima, ex sindaco di Palermo e parlamentare della Democrazia Cristiana, e di quelle sulla trattativa tra Stato e mafia, Lumia e Alfano tornarono nel carcere di Parma per una seconda visita, alla quale erano presenti i responsabili della polizia penitenziaria, che scrissero una relazione del colloquio inviata in seguito alla Direzione nazionale antimafia e alle Procure di Palermo e Caltanissetta. I due parlamentari dissero a Provenzano, per invogliarlo a collaborare, di tenere presente gli «strumenti della legge» sui figli dei collaboratori di giustizia, una questione cui Provenzano ribadì di essere interessato.
Lumia e Alfano hanno incontrato anche Francesco Bidognetti dei Casalesi e Antonino Cinà, entrambi imputati per la presunta trattativa tra Stato e mafia e costretti al “41 bis”, il regime di carcere duro di misure “privative e limitative della libertà”. Questo tipo di colloqui, definiti “investigativi”, sono compito del procuratore nazionale antimafia, della polizia giudiziaria o dai magistrati autorizzati dal ministro della Giustizia, secondo l’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario. I parlamentari, in base alle norme, possono invece entrare nelle carceri per verificare le condizioni dei detenuti.
Ieri, Lumia e Alfano hanno pubblicato un comunicato in cui hanno criticato il Corriere della Sera per aver scritto degli incontri: «una grave rivelazione di segreto d’ufficio». Secondo loro, le visite a Provenzano e agli altri boss rientrano «nell’esercizio delle nostre prerogative parlamentari con alcuni detenuti». Dopo le reazioni di esponenti del Popolo della Libertà, che hanno criticato il loro comportamento, i due parlamentari hanno chiesto: «l’obiettivo di queste reazioni è quello di dire ai boss mafiosi, a partire da Provenzano, che non devono fidarsi dello Stato e che deve essere esclusa ogni ipotesi di collaborazione con la giustizia?».
I membri del PdL hanno criticato le visite perché, secondo loro, la legge stabilisce che possano essere effettuate solo da determinati soggetti, appartenenti all’autorità giudiziaria e alla polizia giudiziaria. In un’intervista di oggi sul Corriere della Sera il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia ha difeso il comportamento di Lumia e Alfano: «Non si è trattato di un tour investigativo», che la legge non permette ai parlamentari, «ma di un colloquio di due componenti dell’Antimafia, europea e italiana, che hanno invitato genericamente i boss a rispondere alle domande dei magistrati».
Sulla questione è intervenuto con una nota il ministero della Giustizia:
In riferimento alle visite, il ministro Paola Sevrino già da giorni ha verificato che le relazioni di servizio nelle quali si segnalavano le peculiarità dei colloqui fossero state trasmesse all’autorità giudiziaria competente, ricevendone conferma. Dallo scorso 3 agosto, il Guardasigilli ha dato disposizione all’Ufficio di gabinetto del ministero affinché, attraverso il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i direttori degli istituti fossero sensibilizzati a una puntuale osservanza delle disposizioni previste dall’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario che regola le visite dei parlamentari negli istituti penitenziari, sollecitando l’intervento diretto o l’interruzione della conversazione qualora essa travalichi i limiti della visita e si trasformi in colloquio su procedimenti in corso.