Perché l’Italia ha atleti militari?
E quanti sono? Qualche dato e un po' di storia su una nostra vecchia tradizione
Durante le Olimpiadi, è facile notare dalle telecronache che molti degli atleti italiani fanno parte delle forze armate o dei corpi di polizia. Si tratta di una caratteristica dello sport italiano: oltre ai professionisti in alcuni degli sport più diffusi – tennis, calcio, basket, pallavolo – gran parte degli atleti che gareggiano nelle altre discipline si allena e riceve uno stipendio grazie all’Esercito, alla Polizia, alla Guardia di Finanza, eccetera.
È una tradizione molto antica e tipica dell’Italia ed è, nei fatti, un sostegno diretto dello Stato alle attività sportive, che ha una storia molto lunga e caratteristiche molto particolari. A volte questa tradizione è stata criticata, con l’argomento che lo Stato non dovrebbe fornire uno stipendio unicamente per praticare un’attività sportiva: agli atleti coinvolti è stato allora dato il nome, dalla connotazione negativa, di “atleti di Stato”, richiamando i gruppi sportivi attivamente sostenuti dagli stati comunisti durante la Guerra fredda (Unione Sovietica, Germania dell’Est). Altri sostengono invece che senza questo tipo di sostegno negli sport cosiddetti “minori” molti atleti validi incontrerebbero grandi difficoltà nel trovare il tempo di allenarsi e prepararsi degnamente alle competizioni internazionali.
Quanti sono
Molti corpi hanno una sezione dedicata a Londra 2012 sul loro sito, che aiuta anche a farsi un’idea dei numeri. Gli atleti che gareggiano per l’Italia alle Olimpiadi di Londra 2012 sono complessivamente 290. Di questi, l’Aeronautica Militare ha 29 atleti, la Marina Militare ne ha 9, l’Esercito 25 e i Carabinieri 22. Tra i corpi dello stato, la Polizia ha 31 atleti (che fanno parte delle cosiddette “Fiamme Oro”, dal nome del gruppo sportivo, nel caso lo sentiate in una telecronaca), la Polizia Penitenziaria 18 atleti (“Fiamme Azzurre”), il Corpo Forestale dello Stato altri 18 e i Vigili del Fuoco (“Fiamme Rosse”) ne hanno uno solo. La Guardia di Finanza ne ha ben 41 (del “Gruppo sportivo Fiamme Gialle”). In totale, quindi, 194 atleti su 290, circa due terzi del totale.
Più in generale, il numero degli atleti militari e dei corpi dello stato è di alcune centinaia, dato che ovviamente non tutti gli atleti si qualificano alle Olimpiadi, e che altri non si allenano in discipline olimpiche: secondo i dati forniti dall’Ufficio Sport dello Stato Maggiore della Difesa, gli atleti militari tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, a oggi sono circa 590, quasi il 40 per cento dei quali nell’Esercito. Il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) ha un’apposita sezione del suo sito per i “Gruppi sportivi militari e Corpi dello stato”, che contiene però solamente qualche recapito degli organismi responsabili delle diverse forze armate.
Gli atleti militari
I “gruppi sportivi militari” sono quelli formati da atleti – detti “atleti militari” – che provengono da Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri. Oltre a questi, ci sono atleti che fanno parte di corpi dello stato che non dipendono dal ministero della Difesa, ovvero Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato e Vigili del Fuoco. Per comodità, li chiameremo di seguito tutti “atleti militari”.
Si diventa atleti militari tramite un concorso apposito, che viene bandito periodicamente dalle forze interessate. L’ultimo bando per l’arruolamento di 25 atleti militari nell’esercito è un buon esempio: si accede attraverso un concorso riservato agli atleti tra i 17 e i 35 anni e che hanno già ottenuto “risultati agonistici almeno di livello nazionale certificati dal CONI”. Il contratto, che è quello iniziale più diffuso per gli atleti militari, è come volontari in ferma prefissata quadriennale.
Gli atleti militari ricevono un addestramento apposito, che comprende anche le attività militari di base, e si allenano per la maggior parte del tempo nei centri sportivi dei loro corpi di appartenenza, anche se è possibile ottenere il permesso di allenarsi in altre strutture. Hanno grado e stipendio pari a quello di chi è in servizio nelle forze armate. Ogni due anni, gli atleti sono sottoposti a un controllo che rinnova la loro appartenenza ai programmi atletici; se non si hanno i requisiti, si può lasciare il corpo oppure ottenere un altro incarico al suo interno.
Alla fine della carriera sportiva o in caso di non idoneità, gran parte degli atleti mantiene l’appartenenza al corpo in cui si è allenato. Alcuni di loro rimangono nel grande circuito dei centri sportivi e nei programmi di allenamento delle forze armate e dei corpi di polizia, ma il numero degli ex atleti è troppo alto e di conseguenza alcuni vanno a svolgere un altro incarico nel corpo di cui fanno parte, al di fuori del settore sportivo.
È possibile anche il passaggio da un corpo ad un altro, fatto che pochi mesi fa – quando ci fu qualche passaggio di atleti di primo piano in vista delle Olimpiadi – venne commentato in modo piuttosto critico, e come un fenomeno da arginare, dal generale Rinaldo Sistili, capo ufficio collegamento tra le Forze armate e il CONI.
Un po’ di storia
La storia di come mai gli atleti italiani siano così spesso inquadrati nelle forze armate o di polizia è piuttosto complicata, perché varia notevolmente da corpo a corpo ed è per gran parte frutto di una lunga tradizione, che è stata poi regolata con precisione solo negli ultimi decenni: ogni corpo, si può dire, ha una storia a sé.
Atleti che facevano parte dell’Esercito italiano, della Marina Militare e della Guardia di Finanza partecipano a competizioni sportive agonistiche fin dalla fine dell’Ottocento, inizialmente organizzati in squadre speciali o in reparti che si dedicavano principalmente all’attività sportiva all’interno di ogni singolo corpo. Nelle prime edizioni delle Olimpiadi c’erano atleti di quei tre corpi: ad esempio alle Olimpiadi del 1908, sempre a Londra, l’Italia vinse una medaglia d’oro con Enrico Porro, nella lotta greco-romana. Porro era un marinaio del cacciatorpediniere Castelfidardo della Regia Marina.
Altri corpi hanno iniziato l’impegno sportivo più tardi. Il Corpo forestale, ad esempio, cominciò solo negli anni Cinquanta, mentre la Polizia Penitenziaria ha iniziato a occuparsi di sport agonistico a partire dal 1985.
Con il tempo questo impegno sportivo è stato formalizzato con leggi e regolamenti (ad esempio la legge 31 marzo 2000, n.78). Questi hanno riconosciuto la possibilità, per corpi armati e forze di polizia, di arruolare atleti con risultati di livello nazionale, riconoscendo di fatto una situazione che aveva una lunghissima tradizione.
Oggi ogni corpo ha una struttura organizzativa che da molti anni si occupa di allenare e selezionare gli atleti: i corpi più impegnati in questa attività, come l’Esercito e la Polizia, hanno molti centri sportivi in tutto il territorio nazionale. L’Esercito, ad esempio, ne ha sei, uno dei quali, nella caserma “Silvano Abba” di Roma, dedicato in modo specifico agli sport olimpici, mentre gli altri sono dedicati agli sport invernali (a Courmayeur), all’equitazione, alla motonautica o agli sport dei Giochi Militari. Il Centro Sportivo dell’Esercito, che gestisce l’insieme delle attività sportive, è stato creato ufficialmente nel 1960.
Anche la tradizione di mandare atleti alle Olimpiadi, e i successi che sono stati conseguiti, variano da corpo a corpo, con settori che hanno una lunga tradizione di atleti militari e altri invece coinvolgimenti più recenti. L’Aeronautica Militare ha inviato un suo atleta alle Olimpiadi per la prima volta nel 1988, a Seul, mentre almeno un atleta dei Vigili del Fuoco – fino a un massimo di 14 ai giochi olimpici di Città del Messico nel 1968 – ha partecipato alle Olimpiadi ininterrottamente dall’edizione del 1920 (tra i più celebri, il ginnasta Jury Chechi) a quella di Pechino del 2008, la prima in oltre ottant’anni senza un rappresentante dei suoi gruppi sportivi.
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