Perché l’India va così male alle Olimpiadi?
Il secondo paese più popolato al mondo, con un'economia in grande crescita, ha vinto 20 medaglie in oltre cent'anni di Giochi (e solo un bronzo finora a Londra)
Fino a oggi, nella storia delle Olimpiadi, l’India è riuscita a ottenere solo 20 medaglie. Sono poche, per non dire pochissime, specie se si tiene conto che l’India è il secondo paese più popolato al mondo, con più di un miliardo di abitanti, e partecipa ai Giochi fin dal 1900. La Cina ha circa 100 milioni di abitanti in più e ha vinto 430 medaglie olimpiche. Il Belgio, con appena 11 milioni di abitanti, ha vinto 144 medaglie. L’Italia ha vinto 522 medaglie ai Giochi olimpici. La Nuova Zelanda, con 4 milioni di abitanti, ha vinto 87 medaglie. A questi Giochi paesi piccoli e in condizioni economiche deboli o pericolanti hanno vinto diverse medaglie – l’esempio estremo sono i tre ori della Corea del Nord – mentre l’India soltanto un bronzo, nel tiro a volo.
Una buona spiegazione potrebbe essere che gli sport più popolari in India non sono molto praticati nel resto del mondo, e non sono tra quelli olimpici. Il cricket, per esempio, non è uno sport olimpico. Lo è l’hockey su prato, sport nazionale indiano, e infatti da lì vengono 11 delle 20 medaglie olimpiche dell’India. Tra i giochi più diffusi nel paese c’è il kabbadi, di cui quest’anno l’India ha vinto la prima edizione dei campionati del mondo, che prevede che i giocatori scandiscano “kab-ba-di” durante la fase di attacco, mentre l’attaccante trattiene il respiro. Poi c’è il Kho Kho, che si gioca solo in India e in Pakistan ed è una versione più elaborata di “Ce l’hai” (in Italia anche “Acchiaparella” o “Acchiappa acchiappa”, secondo la regione), con tanto di campo regolamentare e federazione (KKIF).
Gli inglesi importarono in India molti degli sport più conosciuti a livello internazionale: football, rugby, golf, tennis, squash, hockey, boxe e biliardo. Escludendo biliardo, squash e rugby, che non sono discipline olimpiche, nemmeno le altre hanno avuto grande fortuna. Nella classifica della FIFA la nazionale di calcio dell’India occupa il 154 posto. Il basket è molto popolare nelle scuole ma pochissimi lo praticano a livello professionistico. Il tennis, che ebbe un’improvvisa popolarità grazie a Vijay Amritraj, che giocò la semifinale a Wimbledon nel 1976, non è molto amato. Il ciclismo praticamente non esiste, tanto che la neonata federazione si definisce “pioniera nella promozione del ciclismo in India”. Va meglio con la boxe, la lotta e il badminton.
Un altro limite allo sviluppo dello sport agonistico in India è la carenza di strutture adeguate. Il paese ha iniziato ad avere delle strutture sportive nel 1982, quando Nuova Delhi fu scelta per ospitare i Giochi asiatici. Considerata la sua estensione, il numero dei suoi abitanti e il ritmo di crescita della sua economia, il paese ha poche strutture: 87 stadi, contro i 167 del Giappone e i 152 della Cina.
Aparna Popat, ex giocatrice indiana di badminton e campionessa nazionale dal 1998 al 2006 (ma senza mai vincere una medaglia olimpica), ha scritto sull’argomento un commento sul sito indiano Firstpost. Secondo la giocatrice il merito del suo successo sarebbe da attribuire alla madre, che con pazienza e spirito di sacrificio l’ha sempre accompagnata agli allenamenti e in giro per tornei. Proprio come è successo a Geeta Phogat, la prima lottatrice indiana che è riuscita a qualificarsi alle Olimpiadi. La tesi di Aparna Popat è che in mancanza di uno stato che si occupi di formare gli atleti – come avviene in Cina, pure con degli eccessi – solo il lavoro dei genitori può favorire la diffusione dello sport professionistico.
foto: Sajjad Hussain/Getty Images