L’Iran ha condannato a morte quattro persone per frode bancaria
Il più grande scandalo finanziario della storia dell'Iran aveva coinvolto politicamente anche il governo di Ahmadinejad
Un tribunale iraniano ha condannato a morte quattro persone implicate in una frode bancaria che ha coinvolto politicamente anche il governo del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Si tratta del più grande scandalo bancario mai avvenuto nel paese, scoperto nel settembre dell’anno scorso. Sono state accusate trentanove persone: l’entità della cifra sottratta è stata calcolata in 2,6 miliardi di dollari.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa governativa Irna, la sentenza del processo prevede che oltre ai quattro uomini condannati all’impiccagione – notizia confermata dal procuratore capo Gholam-Hossein Mohseni-Eje – due persone siano condannate all’ergastolo e gli altri abbiano ricevuto pene detentive fino a 25 anni. Oltre alla prigione, alcuni di loro sono stati condannati anche alla fustigazione e al pagamento di multe con il divieto, per tutti, di ricoprire incarichi di lavoro governativi. I condannati avranno 20 giorni prima di presentare appello al tribunale di Teheran.
Le identità degli imputati sono sconosciute perché la televisione di Stato ha trasmesso parti del processo con i loro volti offuscati, ma i giornali iraniani li avrebbero comunque identificati attraverso le iniziali. L’uomo descritto come l’ideatore della frode, un uomo d’affari di Teheran, si sarebbe procurato illegalmente, e per migliaia di miliardi di rial, delle lettere di credito da alcune banche iraniane (tra cui Bank Saderat e Melli Bank) per comprare compagnie statali da privatizzare, tra cui un’acciaieria.
Il caso era stato politicamente imbarazzante per il governo di Ahmadinejad, accusato a sua volta di corruzione e del fatto che delle privatizzazioni avrebbero beneficiato uomini a lui molto vicini come ad esempio il suo più stretto collaboratore, Esfandiar Rahim Mashaie. Lo scorso novembre anche il ministro dell’Economia e delle Finanze Shamseddin Hosseini aveva dovuto rispondere all’accusa di scarsa vigilanza rischiando di essere destituito dal Parlamento.
Era allora dovuto intervenire il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, che pur criticando la corruzione finanziaria aveva detto che lo scandalo pubblico doveva essere fermato e che i media non avrebbero dovuto «tirare fuori un problema» che alcuni volevano utilizzare contro il governo del paese per renderlo instabile.
Dopo la lettura del verdetto, il procuratore capo Gholam-Hossein Mohseni-Eje ha spiegato come il governo e il Parlamento siano stati in grado di affrontare con successo il problema di corruzione nel paese. Ma uno degli imputati ha riferito che mentre la magistratura avrebbe perseguito con determinazione alcuni accusati di secondo piano, gli alti funzionari coinvolti nello scandalo sarebbero rimasti impuniti.
Nel 2011, secondo l’organizzazione non governativa Transparency International che si occupa di corruzione, l’Iran occupa il posto 120 nella classifica di 183 Paesi che misura i governi secondo il livello di corruzione percepita.