Il Congo, il Ruanda e i ribelli “M23”
Perché pochi giorni fa gli Stati Uniti hanno tagliato gli aiuti al Ruanda: una storia che comincia da molto lontano
di Davide Piacenza – @davide
In Africa equatoriale da qualche mese è tornato a far parlare di sé un conflitto vecchio decenni: in Repubblica Democratica del Congo, un paese segnato da lotte interne e crimini di guerra, le milizie ribelli del cosiddetto “Movimento per il 23 marzo” (M23), hanno lanciato una serie di attacchi violenti nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu, al confine col Ruanda. Gli insorti, guidati dal generale Bosco Ntaganda, negli ultimi tre mesi hanno costretto migliaia di persone ad abbandonare le proprie terre e sono per la maggior parte disertori dell’esercito governativo.
I gruppi etnici dominanti nella regione dei Grandi Laghi, quella che comprende Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Kenya, sono principalmente due – Tutsi e Hutu – e derivano dal periodo del colonialismo belga nell’area: i coloni erano soliti considerare i Tutsi – più alti e snelli, dai tratti più rassomiglianti a quelli caucasici e con ogni probabilità provenienti dall’Etiopia – razzialmente superiori agli Hutu.
I membri del M23 sono prevalentemente di etnia Tutsi e la loro opposizione al governo nazionale ha origine proprio nel conflitto irrisolto tra Hutu e Tutsi in Ruanda, dove gli stessi attriti portarono al genocidio subito dai Tutsi – socialmente più affermati, grazie ai privilegi del periodo coloniale – da parte degli Hutu, più numerosi. Dopo la pulizia etnica i Tutsi sono lentamente tornati nei posti di potere ruandesi, costringendo molti Hutu a migrare in massa in Congo. Da allora il Ruanda ha un interesse particolare per la situazione congolese e secondo diverse fonti sta tuttora allenando e armando le fila dell’esercito di Ntaganda. Per questa ragione gli Stati Uniti hanno tagliato i loro fondi di sviluppo diretti al Ruanda.
Il M23 odierno è l’erede diretto del cosiddetto “Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo” (CNDP), una formazione paramilitare di Tutsi di base nelle province orientali del Congo dal 2006, che negli anni ha assunto un ruolo fondamentale nel conflitto del Kivu, combattuto dalle milizie della regione contro le forze governative del Congo. Si riteneva che la guerra fosse terminata nel 2009, con la cattura di Laurent Nkunda – il leader dell’epoca del CNDP – e un accordo che prospettò la rimozione delle truppe dal Kivu e l’evoluzione del CNDP in un partito politico tradizionale. Il trattato di pace in questione venne firmato il 23 marzo 2009 ed è proprio al 23 marzo che il nuovo gruppo di ribelli – M23 – fa riferimento, per sottolineare il carattere fallimentare di quegli accordi.
Il M23 ha iniziato le sue attività all’inizio di questo aprile, quando alcune centinaia di soldati hanno disertato l’esercito del Congo, lamentandosi per le condizioni di vita a cui sarebbero obbligati, e si sono uniti agli insorti di etnia Tutsi guidati da Ntaganda. Nello stesso periodo il governo centrale del Congo, guidato da Joseph Kabila, ha minacciato di trasferire via dal Nord e dal Sud Kivu gli ex soldati del CNDP. L’annuncio ha provocato un ulteriore aumento delle diserzioni e la decisione del M23 di marciare verso Goma, la capitale della provincia.
Attualmente circa 220.000 civili delle province del nord e del sud Kivu sono stati costretti ad abbandonare le loro case per cercare rifugio nei campi allestiti dalle Nazioni Unite, che in Congo hanno la più grande operazione di peacekeeping nel mondo, o fuori dal paese. Sul generale Ntaganda pende un mandato d’arresto internazionale per crimini di guerra e reclutamento di soldati con età inferiore ai 15 anni. Lo scorso gennaio più di trenta donne sono state stuprate da un gruppo di ribelli: le donne sono state aggredite nelle loro abitazioni nel Sud Kivu, legate mani e piedi con delle corde e poi colpite ripetutamente fino alla svenimento prima di essere violentate di fronte ai loro figli.
foto: un gruppo di ribelli M23. (MICHELE SIBILONI/AFP/GettyImages)