Cosa furono le leggi “Jim Crow”
Se ne parla di nuovo negli Stati Uniti, dopo quasi cinquant'anni, e sulle strisce di Doonesbury di questa settimana
La striscia di Doonesbury oggi e per tutta la settimana si occuperà, dopo quasi cinquant’anni dalla loro abolizione, delle cosiddette leggi statunitensi definite “Jim Crow”, tornate d’attualità. Queste leggi, emanate in singoli stati del sud a partire dal 1876, contribuirono a sistematizzare la segregazione razziale per i neri e i membri di altri gruppi etnici diversi dai bianchi. La separazione fu fisica – nelle scuole, nei luoghi pubblici, sui mezzi di trasporto, nei bagni dei ristoranti – e aveva anche il preciso obiettivo di ostacolare l’esercizio del diritto di voto a chi apparteneva a queste comunità.
Mentre si avvicinano le elezioni presidenziali, in alcuni stati americani esponenti del Partito Repubblicano hanno proposto leggi che se approvate complicherebbero l’accesso al voto ad alcune categorie di persone: milioni di cittadini, soprattutto giovani, poveri e afro-americani, tradizionalmente vicini ai democratici.
Il caso più clamoroso è quello della Pennsylvania, dove è stata proposta una legge che vincola la registrazione alle liste elettorali – necessaria per votare, negli Stati Uniti – al possesso di un certo documento di identificazione: la patente di guida. Se approvata, questa legge verrà applicata a tutti gli elettori indipendentemente dal partito di appartenenza, ma solo in apparenza ha lo scopo di salvaguardare il processo elettorale dalle frodi (detto che non si comprende il legame tra il possesso della patente di guida e l’esercizio del voto). Dovesse essere approvata, la legge impedirebbe di votare a quasi 759 mila persone (il 9,2 per cento degli elettori dello stato): la maggior parte di queste vivono nelle aree urbane, storicamente vicine ai democratici, e più di 185mila abitano a Philadelphia, dove i democratici sono in grande maggioranza e c’è un’ampia comunità afro-americana. Altre leggi simili sono state proposte in una dozzina di stati americani, la maggioranza a guida repubblicana.
L’etimologia dell’espressione “Jim Crow” non è chiara, ma sembra essere legata a “Jump Jim Crow”, una canzoncina popolare del 1832 scritta da Thomas Dartmouth Daddy Rice, un cabarettista bianco che la interpretava truccato da afro-americano. Da lì in poi, “Jim Crow” divenne un’espressione dispregiativa per indicare gli afro-americani e quando furono emanate, nel 1838, le leggi per la segregazione razziale presero questo nome. La locuzione comparve per la prima volta sul Dizionario di Inglese Americano nel 1904.
Le leggi cosiddette “Jim Crow” furono approvate soprattutto nel sud del paese e soprattutto dai democratici, che negli stati meridionali conservarono dopo la Guerra di secessione maggiori indulgenze verso lo schiavismo e il razzismo. A inaugurare le leggi “Jim Crow”, fu la Florida tornata ad essere amministrata dai democratici dopo la guerra. Nel 1887 la Florida approvò l’istituzione sui treni di scompartimenti separati per bianchi e neri. Da lì in poi le amministrazioni democratiche della ex Confederazione (gli 11 stati del sud che avevano dichiarato la secessione nel 1861), appoggiate dalla Corte Suprema che respinse sistematicamente i ricorsi contro queste leggi, iniziarono a declinare le più diverse forme di separazione cercando soprattutto di limitare la partecipazione al voto della comunità afro-americana colpita da povertà e analfabetismo: si chiese per esempio una tassa per votare, o furono istituite prove di cultura generale.
Woodrow Wilson, presidente democratico del sud, diede un’ulteriore spinta alle leggi “Jim Crow” nominando nel suo governo molti politici che erano convinti segregazionisti e arrivando a introdurree la segregazione razziale anche negli uffici federali. Nel frattempo, accanto alle leggi utilizzate dagli stati, iniziarono a diffondersi una serie di regolamenti “privati” (nelle aziende, nei partiti, nei sindacati) per escludere i neri dalla società impedendo loro, per esempio, di comprare case in certi quartieri e di entrare o lavorare in certi negozi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la situazione iniziò a cambiare. Il movimento contro la segregazione e i diritti civili organizzò scioperi, proteste e marce, i democratici decisero faticosamente di appoggiare la causa, la Corte Suprema iniziò a giudicare non costituzionali alcune leggi e altre forme di discriminazione privata: nel 1944, per la prima volta, il giudice Frank Murphy usò la parola “razzismo” in un giudizio della Corte.
La fine della segregazione razziale per legge viene fatta coincidere con la firma il 2 luglio 1964 da parte del presidente Lyndon B. Johnson del Civil Rights Act e, nel 1965, del Voting Rights Act: leggi che dichiararono illegali le disparità di registrazione nelle liste elettorali e la segregazione razziale nelle strutture pubbliche e che permisero l’effettivo esercizio del diritto di voto per tutti e tutte senza distinzione di etnia e colore della pelle.
Foto: una donna viene allontanata dalla sala d’attesa “per soli bianchi” alla fermata di un autobus, Mississippi, maggio 1965. (William Lovelace/Express/Getty Images)