Il problema con le regioni spagnole
Quella di Valencia ha annunciato che deve ricorrere ai soldi del governo per non andare in bancarotta, mettendo in discussione il sistema delle autonomie locali
La Comunità Valenzana, la regione autonoma spagnola che ha per capitale Valencia e la seconda più indebitata della Spagna dopo la Catalogna, ha annunciato venerdì 20 luglio che ricorrerà a 18 miliardi di euro da un fondo speciale creato la scorsa settimana dal governo per aiutare le regioni in difficoltà finanziaria.
Quella di Valencia è stata un’ulteriore cattiva notizia per il governo spagnolo – pochi giorni dopo l’annuncio di una nuova, pesantissima manovra finanziaria – e per l’economia del paese, messa sotto pressione dai mercati finanziari. Venerdì sera la borsa di Madrid ha chiuso perdendo il 5,8%, il crollo più grave da maggio 2010 ad oggi. I bonos (i titoli decennali del debito spagnolo) hanno chiuso la giornata con un rendimento del 7,28%, mentre per fare un paragone, i decennali italiani venerdì rendevano il 6,2% e quelli tedeschi poco più dell’uno.
Oltre alla regione di Valencia, altre sei Comunità Autonome potrebbero chiedere l’aiuto del governo. Si tratta di Catalogna, Castilla-La Mancha, Baleari, Murcia, Canarie e Andalusia. In particolare, viene raccontato in un articolo sul Wall Street Journal, la regione di Murcia ha da poco messo in vendita sei importanti palazzi, tra cui quello dove ha sede la presidenza della Comunità. La regione di Murcia è tra le più colpite dalla crisi immobiliare. Tra i piani per salvare le finanze della regione c’è anche quello di vendere decine di nuovi posti-barca. Il timore è che i conti delle Comunità Autonome siano in una situazione peggiore di quanto i loro bilanci abbiano mostrato finora.
(La crisi immobiliare spagnola)
Le Comunità Autonome hanno sempre considerato con orgoglio la loro indipendenza e hanno spesso considerato il governo di Madrid come un nemico della loro autonomia. Chiedere aiuto al governo, che in cambio di denaro chiede severe misure di austerità, rappresenta per le Comunità Autonome un evento storico. Forse anche una riforma radicale del federalismo spagnolo e dell’esperimento delle Comunità Autonome.
In Spagna esistono 17 Comunità Autonome, ognuna con diversi gradi di autonomia dal governo centrale. Le autonomie locali sono garantite dal secondo articolo della costituzione del 1978 (la prima costituzione democratica dopo il regime autoritario di Francisco Franco). Negli ultimi decenni, il governo centrale spagnolo ha incoraggiato a volte una omogeneità delle competenze assegnate alle autonomie, cercando di rendere tutte autonome allo stesso livello, altre volte invece ha appoggiato distinzioni e disparità. Questo secondo atteggiamento ha preso il sopravvento negli anni ’90, con l’entrate nelle coalizioni socialiste di governo dei partiti nazionalisti baschi e catalani.
Il risultato delle “asimmetrie” sono regioni con competenze molto diverse. In genere ogni autonomia regola la sua istruzione pubblica, la sanità e l’emittenza televisiva. Catalogna e Paesi Baschi sono le più autonome: sono le uniche regioni ad avere una propria polizia e praticano il bilinguismo insieme a Valencia, Isole Baleari, Galizia e Navarra. La Catalogna gode anche di una particolare autonomia finanziaria. Tra le regioni che godono di un basso livello di autonomia ci sono invece l’area di Madrid, le due Castiglie, l’Aragona e la Murcia.
Le costituzione spagnola sancisce l’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome che possono imporre tributi sul loro territorio e ricevono parte del gettito di alcune imposte statali. Su queste imposte statali le Comunità hanno ampia autonomia potendo sceglierne le aliquote, la base dell’imponibile e le deduzioni (una differenza sostanziale con l’Italia dove le autonomie locali, regioni e comuni, hanno pochissima possibilità di agire sulle imposte che vengono trasferite dal governo). Accanto a questo sistema un fondo statale si occupa di trasferire fondi di “compensazione” dalle regioni più ricche a quelle più povere: i trasferimenti da questo fondo sono molto criticati e ritenuti in parte responsabili dell’attuale crisi.
foto: AP Photo/Bernat Armangue