Vittorio Feltri sulla mafia
Sul Giornale di oggi, Vittorio Feltri ha scritto un articolo sulla mafia in cui manifesta la propria ignoranza sul tema con discreta sfacciataggine e con sicura sincerità, intitolato “Che barba la mafia. È solo «cosa loro»”.
L’ultima volta che ho letto un articolo sulla mafia credo risalga a trent’anni orsono. L’argomento non mi interessa, a meno che non sia trattato da Leonardo Sciascia: il suo Giorno della civetta è un capolavoro (discreto anche il film che ne fu tratto). Il resto è noia, come direbbe Franco Califano cantando d’altro. Mai vista una puntata della Piovra. Il padrino, dopo dieci minuti di proiezione, mi aveva già stufato. Cosa nostra è un affare siciliano, e la Sicilia è lontana, incomprensibile. L’ho visitata senza comprenderla. Osservando la splendida natura, ho constatato che la regione è una miniera d’oro non sfruttata per imbecillità: con quelle coste, con quei paesaggi, con la cultura che si respira nella zona, è sorprendente rilevare come la gente sia in bolletta, campi di espedienti – in certi casi criminali – e di impiego pubblico, il che è lo stesso.
Mi dicono che la mafia sia un fenomeno da interpretarsi in chiave storica. Sarà vero, ma a me sembra una faccenda di cui si debbano occupare i carabinieri. Un aspetto mi ha sempre turbato: il livello culturale dei cosiddetti capibastone o mammasantissima, descritti quali uomini scaltri, inafferrabili, geni del male, diabolici, ricchissimi. Poi, nelle rare circostanze in cui ne beccano uno, ti trovi davanti Toto Riina, analfabeta autentico (sa fare solo la firma).