Saranno soppressi dei giorni festivi?
Sulla questione di cui parlano da due giorni i quotidiani, la risposta è di due parole: sottosegretario e Polillo
Da ieri i giornali parlano di una proposta che sarebbe allo studio del governo per l’accorpamento di alcune festività, una delle tante misure per contrastare la crisi economica: attraverso l’aumento, in questo caso, dei giorni lavorativi. Non si tratta di una proposta nuova (se ne discusse circa un anno fa, durante il governo Berlusconi) e ha già suscitato numerose reazioni, quasi tutte negative.
Che cosa si sa delle proposta
Secondo i mezzi di informazione, l’esistenza di un progetto per la riduzione dei giorni festivi – a cui starebbero lavorando insieme i quattro ministeri dell’Economia, dello Sviluppo, della Funzione pubblica e del Lavoro – è stata svelata ieri dal sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo, 68 anni e un cospicuo curriculum di presenzialismo televisivo e dichiarazioni controverse.
(L’ineffabile Gianfranco Polillo)
Polillo ha detto che in Italia ci sono troppe ferie: attraverso una riduzione delle festività, che non dovrebbe avere in contropartita una maggior retribuzione per i lavoratori, sarà possibile aumentare la produttività del paese, contribuendo ad uscire dalla crisi. Polillo ha aggiunto di non sapere precisamente quando la proposta sarà portata davanti al Consiglio dei ministri per essere discussa, né lo strumento legislativo con cui il governo intenderebbe intervenire sulla materia. Lo stesso sottosegretario ha detto che l’eliminazione delle festività religiose pone un problema nei rapporti con la Chiesa cattolica, ma anche l’eliminazione di alcune festività civili, solitamente con la proposta di accorparle alla domenica successiva, ha suscitato pareri negativi nel passato recente.
La proposta dello scorso anno
L’11 agosto 2011, durante un’audizione alla Camera davanti alle commissioni Affari costituzionali e bilancio, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti disse che il governo stava valutando la possibilità di spostare alle domeniche successive le festività non religiose, come 25 aprile, primo maggio e 2 giugno. Tremonti definì la proposta “un modo tipicamente europeo di aumentare la produttività”.
Il 3 settembre 2011, durante la discussione parlamentare della manovra finanziaria approvata per decreto ad agosto, l’accorpamento delle festività venne eliminato con un emendamento promosso dal Partito Democratico ma che votarono praticamente tutte le forze politiche (incluse quelle dell’allora maggioranza, formata principalmente da PdL e Lega). Rimase però nella manovra un articolo che stabiliva che ogni anno, entro il 30 novembre, il governo avrebbe dovuto fare un decreto con cui stabiliva le festività da accorpare alla domenica successiva (si parlava in particolare dell’eliminazione delle feste religiose locali, come il patrono). Il nuovo governo Monti, insediato proprio a novembre, non emanò il decreto e tutto rimase come prima.
Le reazioni
Oggi il ministro Riccardi è intervistato dalla Stampa e si dice “perplesso” sulla proposta. Ma praticamente tutti quelli che si sono espressi lo hanno fatto per criticarla: tra questi i sindacati (in particolare la CISL e il settore che riunisce gli operatori del turismo della CGIL) l’Associazione nazionale partigiani (ANPI), che si è espressa contro l’abolizione di 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno, e le associazioni di categoria del settore turistico. Anche il segretario del PD Pier Luigi Bersani ha detto di non essere d’accordo con la proposta.
Quanto agli eventuali benefici economici dell’eliminazione di alcune festività, si tratta di un punto estremamente dibattuto e su cui non ci sono dati certi. Un punto fondamentale per valutarli è che bisogna stabilire se, in cambio del giorno festivo in meno, ai lavoratori venga data una contropartita economica (Polillo ha detto che, almeno inizialmente, non dovrebbe essere così). Una stima dei benefici (una delle poche) venne fatta lo scorso anno dall’allora capo di Confindustria Emma Marcegaglia, durante un’altra polemica a proposito delle festività: quella sul 17 marzo, una festa che venne stabilita per il solo anno 2011 per celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia. Allora Marcegaglia stimò il valore di una giornata lavorativa in più in circa 4 miliardi di euro di maggior Prodotto Interno Lordo, intorno allo 0,3 per cento del PIL italiano. Una stima simile, anche se leggermente inferiore (un punto di PIL in più con una settimana di lavoro in più) è stata data anche dal sottosegretario Polillo.
foto: ISSOUF SANOGO/AFP/GettyImages