Da oggi è in vigore la riforma del lavoro
Le cose da sapere in quattro punti sulle principali novità, che riguardano milioni di lavoratori
Oggi entra in vigore la riforma del mercato del lavoro, approvata definitivamente dalla Camera dei deputati lo scorso 27 giugno (il governo aveva posto quattro fiducie sul provvedimento, che alla fine è stato approvato con 393 voti favorevoli, 74 contrari e 46 astenuti). Le novità principali della riforma – il cui testo definitivo, pubblicato il 3 luglio sulla Gazzetta Ufficiale, occupa una cinquantina di pagine – riguardano l’articolo 18, il sistema degli ammortizzatori sociali e l’insieme dei contratti di lavoro.
Articolo 18
Uno dei punti più importanti – e più discussi – della riforma è stato la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970, che stabilisce le regole per il reintegro del lavoratore nel suo posto di lavoro. La vecchia formulazione prevedeva il reintegro automatico, con parità di retribuzione e di posizione, in tutti i casi in cui un giudice valutava un licenziamento illegittimo. La norma si applicava solo alle aziende con più di 15 dipendenti.
La nuova formulazione introdotta dalla riforma non modifica il reintegro automatico per i licenziamenti causati da una discriminazione per motivi politici o sindacali o religiosi, ma interviene invece nel caso dei licenziamenti per motivi economici: in questi casi, il giudice può disporre il reintegro solo nei casi di “manifesta insussistenza” delle motivazioni economiche, ma in tutti gli altri casi può assegnare solo un indennizzo compreso tra le 12 e le 24 mensilità. Anche nel caso del licenziamento per motivi disciplinari il reintegro non sarà più automatico, ma dovrà essere valutato sulla base dei contratti collettivi e dei codici disciplinari. È stato introdotto poi un rito abbreviato per le cause che coinvolgono i licenziamenti, in modo da abbreviare i tempi dei processi.
Ammortizzatori sociali
L’indennità di mobilità e quella di disoccupazione saranno gradualmente sostituite, a partire dal 2013 e fino a sostituzione completa nel 2017, da una nuova Assicurazione sociale per l’impiego (ASPI). L’ASPI corrisponderà al 75 per cento circa dell’ultimo stipendio e avrà una durata di 12 mesi (che raggiunge i 18 per chi ha più di 55 anni), che è finanziata con un contributo, a carico delle imprese, dell’1,4 per cento sui contratti a tempo determinato: il che rende quel tipo di contratti più costosi per le imprese. Il lavoratore che usufruisce dell’ASPI non può rifiutare un lavoro che sia retribuito il 20 per cento in più dell’indennità mensile che riceve, a costo di perderla.
Apprendistato, partite IVA, collaborazioni
La riforma conferma che il contratto di lavoro “prevalente” è quello a tempo indeterminato. Quanto ai contratti per l’ingresso nel mondo del lavoro, la riforma introduce meccanismi per rendere il contratto di apprendistato quello principale per i primi impieghi e per contrastare l’abuso dei contratti a tempo determinato o delle finte collaborazioni. L’effetto di questi provvedimenti, secondo i commentatori, è però incerto e dipenderà da come si porranno nei confronti delle nuove norme, nel corso dei prossimi mesi, i lavoratori e i datori di lavoro.
Per evitare che il datore di lavoro utilizzi unicamente contratti di apprendistato non rinnovati alla loro scadenza, l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata al fatto che, nei tre anni precedenti, almeno il 50 per cento degli apprendisti sia stato assunto in qualche modo (anche a tempo determinato).
Vengono prese misure per contrastare il fenomeno delle finte partite IVA, molto attenuate rispetto a quelle di cui si era parlato in un primo momento: se le partite IVA soddisfano almeno due di tre requisiti (collaborazione con lo stesso datore di lavoro di durata superiore a otto mesi, collaborazione che fornisce più dell’80 per cento del reddito annuale, postazione fissa presso la sede di lavoro) allora sono considerati automaticamente contratti di collaborazione coordinata e continuativa, con alcune eccezioni, come per le professioni che richiedono l’iscrizione a un albo e per le collaborazioni che danno un reddito superiore a 18 mila euro l’anno. Queste norme entrano in vigore subito per i nuovi contratti e tra 12 mesi per i contratti già in corso.
A proposito degli altri tipi di contratto a tempo determinato, i contratti a progetto dovranno sempre indicare un progetto specifico che non potrà più corrispondere all’oggetto sociale dell’azienda, e non potranno consistere nell’esecuzione di compiti ripetitivi che già rientrano in contratti collettivi nazionali (la norma riguarda soprattutto il mondo dell’industria). Per evitare le “catene” di contratti a termine, al posto di assunzioni a tempo indeterminato, si stabilisce che tra i contratti a termine ci debba essere una distanza obbligatoria di almeno 60 giorni, che salgono a 90 per quelli che durano più di sei mesi (sono previste eccezioni per i lavori stagionali). Per quanto riguarda i lavoratori assunti a tempo determinato, potranno essere assunti senza specificare la causale solo nel primo contratto, di durata massima di 12 mesi.
Altro
La riforma contiene alcune misure per favorire la parità di genere e combattere la discriminazione e la diversità di trattamento lavorativo nei confronti delle donne. Prevede misure contro la pratica delle “dimissioni in bianco” e introduce il congedo di paternità obbligatorio, introdotto in via sperimentale dal 2013 al 2015, che è già stato molto criticato per la sua brevissima durata: in effetti si tratta di un periodo che va da uno a tre giorni di congedo retribuito nei primi cinque mesi di vita del bambino.
– Gli articoli del Post sulla riforma del lavoro
foto: ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images