Il boom economico della Mongolia
L'estrazione di carbone, oro e rame ha fatto crescere l'economia del paese del 17 per cento nel 2011 e si stima che il PIL raddoppierà nei prossimi dieci anni
L’economia della Mongolia è cresciuta nel 2011 del 17 per cento e si stima che il suo Prodotto interno lordo (PIL) raddoppierà nei prossimi dieci anni. Le grandi riserve di carbone, oro e rame hanno attirato negli ultimi anni importanti compagnie internazionali dell’industria estrattiva. In passato l’economia mongola si basava esclusivamente sulla pastorizia, oggi prospera grazie alla domanda di materie prime richieste dai paesi esteri, soprattutto da parte della Cina.
Haydyn Lynch, proprietario dell’azienda di estrazione mineraria australiana Xanadu Mines, l’ha definita una corsa all’oro. Uno dei centri più importanti è quello della cava di Oyu Tolgoi, una città nel sud del paese nella provincia del Ômnôgov’, a 50 miglia a nord dal confine con la Cina, dove si estrae il rame. La miniera, di proprietà del governo mongolo e della società mineraria canadese Ivanhoe Mines, ha estratto il suo primo minerale in rame nel giugno scorso e si stima che continuerà ad estrarne in grande quantità per i prossimi cinque anni.
L’espansione dell’attività mineraria sta creando, però, problemi alla popolazione a causa dell’impatto che questo tipo di attività ha sulle tradizioni locali e sulle migliaia di pastori che popolano la Mongolia. Inoltre, le industrie che estraggono minerali hanno consumato molte risorse a danno dei cittadini. Ci sono stati nei mesi scorsi proteste per i problemi causati dal mancato approvvigionamento idrico: nelle miniere c’è bisogno di grandi quantità d’acqua, per i lavori di estrazione, che vengono sottratte ai villaggi che si trovano attorno alle cave.
Tuvshintugs Batdelger, professore dell’Università Nazionale della Mongolia, spiega che «L’industria mineraria sta contribuendo a guidare l’economia di questa nazione a un ritmo incredibile, ma siamo preoccupati per le ripercussioni che ci potranno essere sulle altre attività industriali del paese a causa dell’aumento dell’inflazione», con il conseguente aumento dei prezzi. La grande domanda nel mercato delle risorse naturali, da parte dei paesi esteri, sta facendo salire il valore del Tugrug, la valuta mongola, rendendo le esportazioni dei prodotti delle altre attività industriali più costose. La moneta si “apprezza” rispetto ai suoi valori iniziali così da rendere l’acquisto di materie prime meno appetibile rispetto ai primi anni dell’espansione economica del paese. Nel 2011 l’inflazione della Mongolia è cresciuta del 12 per cento e il tasso di disoccupazione è stato del 20 per cento.
La ricchezza prodotta dall’estrazione mineraria ha attratto nelle città molti pastori che vivevano nelle praterie e che oggi vivono nelle periferie dei centri urbani più grandi. Vivono affollati nelle baraccopoli in cerca di lavoro, senza acqua né elettricità. Sumati Luvsandendev, direttore dell’organizzazione no profit Sant Maral Foundation, dice che «gran parte della popolazione attende che la ricchezza portata dalle miniere ricada anche su di loro».
C’è poi il problema della corruzione tra i rappresentanti del governo e gli oligarchi esteri, soprattutto cinesi. Secondo i sondaggi dell’organizzazione «il 96 per cento dei mongoli crede che la corruzione sia molto diffusa e l’80 per cento dice di credere che chi gestisce gli affari del loro paese abbia troppo potere». Saurabh Sinha, economista del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite nella capitale mongola di Ulan Bator, ha detto: «Il paese è a un bivio. Il governo utilizzerà la ricchezza mineraria per migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti, oppure la Mongolia diventerà la nuova Nigeria?».
La Mongolia è una repubblica presidenziale dell’Asia centrale con una popolazione di circa tre milioni di abitanti. Il governo uscente, guidato dal primo ministro Sukhbaatar Batbold, ha approvato negli ultimi mesi del suo mandato una legge che limita la presenza di manodopera straniera nelle miniere. Una legge che limita la presenza di manodopera straniera nelle miniere, in particolare quella cinese che sta occupando la maggior parte dei posti di lavoro disponibili nei centri d’estrazione, togliendoli alla popolazione locale.
Il 28 giugno scorso ci sono state le elezioni per eleggere il Grande Khural, il Parlamento mongolo. La commissione elettorale però non ha ancora reso noti i risultati perché sono in corso verifiche sulle schede, dopo l’accusa di brogli da parte del Partito del popolo mongolo, al governo in Mongolia negli ultimi anni. Il Partito Democratico della Mongolia, che era all’opposizione, non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta, stando al primo conteggio delle schede, ed è in trattativa con la Coalizione della Giustizia (formata dal Partito rivoluzionario popolare mongolo e dal Partito Nazional-Democratico). Una coalizione da sempre contraria alle politiche d’investimento a favore delle compagnie straniere di estrazione mineraria.
L’ex presidente della Mongolia Nambar Enkhbayar, che si è ricandidato con il Partito Rivoluzionario del Popolo mongolo, è stato accusato di corruzione. È in corso un processo nei suoi confronti con l’accusa di aver rinegoziato, a favore del governo, il progetto di 13 miliardi di dollari della miniera d’oro di Oyu Tolgoi con la compagnia canadese Ivanhoe Mines. Con l’approvazione del Parlamento mongolo, il 49 per cento dei depositi minerari della Mongolia è oggi di proprietà di aziende straniere.
Foto: Oyu Tolgoi, Mongolia (MARK RALSTON/AFP/GettyImages)