Il disastro nel Golfo del Messico, due anni dopo
125 mila cause di risarcimento sono ancora in corso, i danni ambientali non sono chiari e la BP potrebbe dover pagare altri miliardi di dollari
Due anni fa, il 15 luglio del 2010, la perdita di petrolio dal pozzo di Macondo, 1.500 metri sotto il Golfo del Messico, venne bloccata. Il petrolio aveva cominciato a fuoriuscire dal pozzo il 20 aprile, in seguito all’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, affittata dalla società petrolifera British Petroleum (BP). Tra aprile e luglio circa 4,9 milioni di barili di petrolio vennero riversati in mare, la più grande perdita di petrolio della storia degli Stati Uniti. Due mesi dopo, a settembre, il pozzo sarebbe stato definitivamente sigillato.
Le cause contro BP
Ieri l’agenzia di stampa Reuters ha pubblicato un articolo in cui ha ricapitolato la situazione delle oltre 300 mila cause che sono state intentate contro la BP. I querelanti sono sopratutto pescatori, albergatori, gestori di locali o spiagge che accusano BP di aver procurato un danno economico ai loro affari. L’azienda ha già regolato circa 200 mila richieste di risarcimento, pagando circa 6,5 miliardi di dollari. A marzo è stato trovato un accordo per risolvere le altre 125 mila cause pendenti. Non è stato stabilito ancora un tetto massimo al risarcimento, ma BP ha stimato che pagherà una cifra intorno ai 7,8 miliardi di dollari (che però, ha ammesso, potrebbe aumentare). A causa della complessità del caso, quattro mesi dopo l’accordo le parti stanno ancora attendendo l’approvazione definitiva del giudice.
Le multe alla BP
L’accordo di marzo con cui BP risarcirà privati e imprese danneggiati dall’incidente alla Deepwater Horizon, dice un articolo sull’Huffington Post, non riguarda i singoli stati e il governo degli Stati Uniti, che sono a loro volta impegnati in cause con la BP o stanno ancora decidendo la linea d’azione da adottare (se multare le società e quanto). BP potrebbe essere condannata a pagare altri 20 o 25 miliardi di dollari in multe e risarcimenti danni agli stati che hanno avuto le coste contaminate dal petrolio. Il Clean Water Act, ad esempio, autorizza il governo degli Stati Uniti a multare una società di 1.100 dollari per ogni barile di petrolio che versa in mare (per BP significherebbe una multa da 5,4 miliardi di dollari). Se la società viene ritenuta colpevole di negligenza, la multa può arrivare a 4.300 dollari per barile (una multa da 21 miliardi di dollari).
Qualche settimana dopo l’esplosione il Dipartimento di giustizia annunciò che aveva aperto un’inchiesta penale sull’incidente alla Deepwater Horizon. Da allora il governo non ha formalizzato alcuna accusa nei confronti di BP. Ma gli analisti della banca d’affari Morgan Stanley hanno calcolato che se un’accusa penale venisse portata avanti, BP potrebbe essere costretta a pagare dai 5 ai 15 miliardi di dollari. Morgan Stanley ha stimato che altri 5 miliardi di dollari potrebbe essere il costo per BP del danno ambientale. Il governo degli Stati Uniti, infatti, sta portando avanti un piano pluriennale per studiare l’impatto ambientale dell’incidente. Quando gli studi saranno terminati, il governo potrebbe decidere di portare avanti una nuova richiesta di risarcimento danni all’azienda.
I danni all’ecosistema
Oltre alle ricerche ufficiali del governo americano molte università hanno iniziato degli studi per scoprire i danni causati all’ecosistema dall’incidente della Deepwater Horizon. Una ricerca dell’università del Maryland, durata due anni, ha dimostrato livelli di contaminazione da idrocarburi nello zooplancton, in certi casi molto alti. Composto da minuscoli animali, lo zooplankton è la base della catena alimentare marina. Il problema, spiegano i ricercatori, è che la contaminazione potrebbe risalire la catena alimentare, dato che lo zooplankton è il cibo di gamberetti, molluschi e piccoli pesci.
Dopo due anni di ricerche, alcuni scienziati sono riusciti a provare il collegamento tra la morte di alcuni banchi di corallo e l’inquinamento da petrolio. Un’altra ricerca, anche questa pubblicata a marzo, ha dimostrato che le malattie ai polmoni, al fegato, l’anemia e altre disfunzioni trovate in alcuni delfini che vivono nel Golfo del Messico sono state causate dall’incidente.
Che fine ha fatto la piattaforma
La Deepwater Horizon è affondata il 22 aprile 2010, due giorni dopo l’esplosione. Probabilmente al momento si trova sul fondo del Mississippi Canyon, 1.500 metri sotto il mare. Costruita nel 2001 dalla Hyundai, la Deep Water Horizon apparteneva alla Transocean, una multinazionale con sede a Ginevra che si occupa di trivellazioni petrolifere tramite piattaforme offshore. L’assicurazione ha rimborsato 400 milioni di dollari alla Transocean per la perdita. L’esplosione è avvenuta mentre la Deepwater Horizon trivellava su commissione della BP.
Attualmente la Transocean è in causa con la BP per 40 miliardi di dollari. BP accusa Transocean di negligenza e afferma che la piattaforma non era in grado di tenere il mare. BP ha anche chiesto 80 miliardi di dollari ad Halliburton, la multinazionale che si occupava della cementificazione del pozzo di trivellazione e di aver distrutto le prove che avrebbero dimostrato la sua responsabilità. In particolare BP accusa Halliburton di aver distrutto i test che dimostravano la scarsa qualità del cemento con cui era stato costruito il pozzo. Una terza causa è stata intentata da BP contro Cameron International, la società che aveva montato sul pozzo il dispositivo antiesplosione. L’accusa è di aver montato male il dispositivo che, se avesse funzionato, avrebbe potuto evitare l’incidente.
foto: U.S. Coast Guard via Getty Images