Un anno di spread
Quando e perché un indicatore economico per specialisti è entrato nel nostro lessico quotidiano, cosa c'entrano le agenzie di rating e la storia di un anno insieme a lui
di Davide Maria De Luca
Un anno fa, nel luglio 2011, lo spread ha oltrepassato per la prima volta dall’introduzione dell’euro i duecento punti base. In due mesi sarebbe rapidamente salito oltre i 400, un livello intorno al quale si muove anche oggi. Venerdì ha chiuso a 480 punti base, in aumento soltanto dello 0,14% rispetto a giovedì, nonostante il declassamento di Moody’s.
Fino al luglio di un anno fa, il differenziale o spread tra buoni del tesoro decennali italiani ed equivalenti tedeschi era conosciuto soltanto dagli specialisti e dai giornalisti economici. Negli oltre tre anni e mezzo tra il gennaio 2008 e il luglio 2011, ad esempio, meno di cinquanta titoli di giornale contenevano la parola spread. Soltanto tra luglio e agosto 2011, invece, lo spread è stato sui titoli dei quotidiani italiani 51 volte, e spesso in prima pagina.
Oggi lo spread è considerato uno degli indicatori più importante della “salute” finanziaria di un paese e, più in generale, della fiducia che gli investitori hanno nell’Eurozona. Ma non è sempre stato un indicatore fondamentale. Per il primi sette anni dell’euro lo spread tra titoli di stato italiani e tedeschi era considerato un indicatore secondario, controllato soltanto dagli specialisti in trading dei titoli di stato. Fino all’estate del 2008 si aggirava con pochissime oscillazioni intorno ai 35-40 punti base. Alla caduta del governo Prodi, nel maggio 2008, mentre dagli Stati Uniti arrivavano le prime avvisaglie della crisi dei mutui subprime, si era alzato raggiungendo una cifra tra i 40 e i 50 punti base.
Il primo record dello spread viene raggiunto lunedì 16 settembre 2008. Il giorno prima il governo americano aveva costretto la banca Lehman Brothers a dichiarare bancarotta. Il Sole 24 Ore titolò: “Per i Btp spread record”. Quel giorno lo spread aveva chiuso a poco più di 70 punti base. Un altro record viene toccato a gennaio 2009 con 170 punti base. Repubblica gli dedicò un boxino titolato “Il caso” in fondo alle pagine economiche.
L’aumento dello spread, in quel periodo, non preoccupò e venne spiegato come “fuga verso la qualità”. Una reazione alla bancarotta di Lehamn Brothers che aveva lasciato i mercati nell’incertezza. In altre parole, secondo gli analisti, gli investitori cercavano di ridurre i rischi dei loro portafogli (cioè la somma dei loro investimenti) comprando titoli molto sicuri (come i Bund, i titoli di stato tedeschi) per pareggiare l’incertezza sugli altri titoli in loro possesso. L’Italia, quindi, pagava solo le incertezze del mercato.
Le cose cominciarono a cambiare nel corso dell’estate 2009. Un articolo su Lavoce.info nel maggio 2009 lanciò uno dei primi segnali d’allarme. La “fuga verso la qualità” può spiegare soltanto un quinto dell’aumento dello spread. Il resto è causato dal rischio paese. In altre parole gli investitori pensano che i conti dell’Italia stiano peggiorando e il paese, in futuro, potrebbe andare in bancarotta. Il 2010 è un anno di ripresa economica (il prodotto interno lordo italiano cresce del 1,8%) e lo spread si stabilizza intorno a quota 100-150 punti base, nonostante i timori sulla tenuta dei conti pubblici e il peggioramento della crisi in Grecia.
Per i primi sei mesi del 2011 la situazione resta sostanzialmente la stessa. Verso la fine di giugno lo spread è ancora fermo a 160. Sono i giorni in cui il governo Berlusconi comincia a lavorare a un’importante manovra estiva. Non è una finanziaria come le altre. La crisi greca è peggiorata e la ripresa cominciata nel 2010 è già finita. L’FMI prevede che l’Italia sarà in stagnazione nel 2011 e in recessione nel 2012. L’obbiettivo del governo è raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014.
Con la manovra il governo sperava di ottenere 40 miliardi tra tagli alla spesa e, sopratutto, nuove tasse. Nella pratica, il governo propose una legge delega (uno strumento in cui il parlamento vota una delega al governo per legiferare autonomamente su un tema) da mettere in pratica nel 2013, cioè quando sarebbe stato in carica il governo successivo. Rimandare il problema però non piace agli investitori. Nel giro di una settimana lo spread, per la prima volta nella storia (superando anche i livelli della crisi del ‘95) sorpassò quota 300 punti base.
Il governo decise di attuare la manovra in maniera più drastica e a metà luglio sembrò che fosse questione di giorni prima che una finanziaria molto dura venisse votata in parlamento. Dopo il picco di quasi 350 punti base toccato il 18 luglio, lo spread tornò ad abbassarsi. La finanziaria sembrava avviata e il 21 luglio uno dei numerosi vertici europei che avrebbero dovuto salvare la Grecia mise grande euforia su tutti i mercati. In pochi giorni lo spread scese nuovamente a 250 punti base.
La manovra però venne di nuovo bloccata. Pesarono, tra gli altri, i veti di Bossi a intervenire sulle pensioni. Senza più la pressione dello spread, il governo aggiunge e toglie provvedimenti lasciando gli investitori nell’incertezza. Lo spread tornò quasi immediatamente a salire. Nei primi giorni di agosto sfiorò quota 400. In quei giorni arrivò a Berlusconi la lettera di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, il governatore uscente della Bce e quello entrante. La lettera conteneva i provvedimenti che secondo i due banchieri centrali era necessario inserire nella finanziaria per tranquillizzare gli investitori. La lettera rimase inascoltata, ma la definitiva approvazione della manovra e il massiccio intervento della Banca centrale europea, che cominciò ad acquistare titoli italiani sul mercato secondario, riportarono lo spread di nuovo intorno ai 300 punti base, dove sarebbe restato per tutto agosto.
Secondo gli analisti la prova che queste oscillazioni fossero dovute ai tentennamenti sulla manovra e, più in generale, alla situazione italiana che stava rapidamente peggiorando, si trova in un altro spread, quello tra i titoli italiani e quelli spagnoli. Prima di luglio, la Spagna era percepita come un paese più a rischio dell’Italia. Lo spread tra titoli italiani e spagnoli era infatti negativo, cioè i titoli spagnoli rendevano più di quelli italiani. Per tutto luglio 2011, fino alla prima settimana di agosto (cioè proprio il periodo in cui la finanziaria non riusciva ad essere approvata) la differenza non fece altro che assottigliarsi. Ai primi di agosto i titoli italiani rendevano circa 30 punti base in più di quelli spagnoli: l’Italia veniva percepita più a rischio della Spagna.
Da settembre ad ottobre lo spread resta più o meno stabile, anche grazie ai massicci aquisti di titoli di stato italiani da parte della BCE. In questo periodo l’Italia ricevette il declassamento o downgrade da tutte le principali agenzie di rating. Sono i downgrade su cui sta indagadando la procura di Trani e che per molti hanno causato le dimissioni di Berlusconi. In realtà, i downgrade sono arrivati dopo che gli investitori avevano scontato ad agosto il peggioramento di salute per le finanze italiane. Il primo downgrade è quello di S&P, che arrivò il 19 settembre. L’ultimo quello di Fitch, il 7 ottobre. In quel periodo lo spread passò da 380 a 350: in altre parole, come quasi sempre accade, le agenzie di rating arrivano molto in ritardo rispetto alle decisioni degli investitori.
A inizio novembre, il nostro indicatore economico era oramai stabile sopra i 400 punti base. Alla Camera si doveva votare una nuova manovra, il cosiddetto “Ddl stabilità”. Il voto arrivò l’8 novembre. La legge passò con 308 voti soltanto, grazie all’astensione dell’opposizione. Otto in meno dei 316 necessari per avere la maggioranza. Quel giorno le borse chiusero con lo spread praticamente a quota 500. Il record assoluto però viene raggiunto il giorno successivo. In particolare, quando nel pomeriggio del 9 novembre Berlusconi dichiarò che non si sarebbe dimesso nonostante il voto, lo spread toccò la quota, mai più raggiunta, di 575 punti base. Quando poi, nel tardo pomeriggio le indiscrezioni aprirono alla possibilità di dimissione del governo, lo spread tornò a quota 550, anche questo un livello che non sarà più raggiunto in seguito. Il giorno dopo il Sole24ore uscì con il titolo “Fate presto”, tutto maiuscolo e largo cinque colonne.
Le dimissioni di Berlusconi fecero precipitare lo spread a 460 punti base in quattro giorni. Il livello massimo dello spread sotto il governo Monti non è mai salito oltre i 470 punti base circa. Ancora più significativo è il calo dello spread con i titoli spagnoli. Mentre per tutti gli ultimi sei mesi del 2011 i titoli italiani erano sistematicamente ritenuti più rischiosi di quelli spagnoli (cioè lo spread tra BTP italiani e Bonos spagnoli era negativo), dalla caduta di Berlusconi la situazione si è invertita. Nonostante l’andamento dello spread con i titoli tedeschi, i buoni del tesoro italiano rendono sempre meno di quelli spagnoli. In altre parole, da quando è in carica il governo di Mario Monti, i mercati giudicano la Spagna un investimento più rischioso dell’Italia.
foto: GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images