I socialdemocratici del PD

Claudio Cerasa sul Foglio racconta chi sono e che cosa vogliono Fassina, Orfini, Orlando e gli altri "smaliziati ragazzoni post-comunisti"

© Gian Mattia D'Alberto/LaPresse
30-03-2012 Milano
spettacolo
trasmissione "L'ultima parola"
nella foto: Matteo Orfini

© Gian Mattia D'Alberto/LaPresse
30-03-2012 Milan
"L'ultima parola" tv show
in the photo: Matteo Orfini
© Gian Mattia D'Alberto/LaPresse 30-03-2012 Milano spettacolo trasmissione "L'ultima parola" nella foto: Matteo Orfini © Gian Mattia D'Alberto/LaPresse 30-03-2012 Milan "L'ultima parola" tv show in the photo: Matteo Orfini

Claudio Cerasa sul Foglio di oggi racconta la corrente più a sinistra del PD, recentemente riunita in una serie di convegni dal titolo “Rifare l’Italia”, rappresentata nella segreteria del partito da Matteo Orfini e Stefano Fassina. Cerasa li chiama “occupy PD”, si tratta più o meno degli stessi che un paio d’anni fa avevano scritto questo documento.

Con Monti e contro Monti. Con Krugman e contro Krugman. Con l’aspirina e contro l’aspirina. Con l’Europa e contro l’Europa. Con la Bce e contro la Bce. Con i tecnici e contro i tecnici. E così via. A otto mesi esatti dalla nascita del governo Monti, all’interno dei due principali schieramenti che lo scorso novembre hanno accettato la sfida dell’esecutivo dei professori da un po’ di tempo a questa parte si sta manifestando un fenomeno – in parte schizofrenico e in parte forse naturale – che appare sempre con maggiore frequenza fra le trame quotidiane delle dinamiche parlamentari. Il fenomeno in questione riguarda in modo speculare tanto il Pd quanto il Pdl, ed è un fenomeno che, seppur con sfumature diverse, ha avuto l’effetto di dividere il partito di Pier Luigi Bersani e quello di Angelino Alfano in due fronti che in modo sbrigativo potremmo definire così: il fronte di chi appoggia Monti in modo deciso e convinto e considera il professore il vero faro del riformismo; e il fronte di chi invece sostiene il governo con molti sbuffi, molti se e molti ma, e che giorno dopo giorno rivendica con sempre maggiore forza una propria autonomia, e a volte una propria estraneità, dallo stesso governo cui però il proprio partito rinnova periodicamente la fiducia. Nel centrodestra, il fenomeno dell’anti montismo viene declinato in modo talmente caotico ed estemporaneo che spesso anche l’osservatore più paziente e ben disposto non può non sospettare che nell’atteggiamento parzialmente ostile riservato al professore ci sia, più che un preciso e spregiudicato disegno politico, semplicemente un banale ragionamento legato al tentativo disperato di intercettare un piccolo spicchio di elettorato disilluso dalle performance del governo tecnico. Nel centrosinistra invece, nonostante il Pd sia alleato fedele di Monti, il fenomeno dell’anti montismo a poco a poco si sta strutturando come una genuina e tutt’altro che estemporanea corrente di pensiero: una corrente che si sta affermando tra i principali quadri dirigenti del partito e che giorno dopo giorno dà l’impressione di essere il vero volto di lotta di questo strano e irresistibile Pd di governo. I protagonisti e gli animatori di questa corrente di pensiero – che da mesi si sta impegnando per offrire al Pd la possibilità di intercettare il magma incandescente dell’anti montismo, anche per non delegare questo compito a nessuna sciagurata e famigerata lista civica – sono alcuni smaliziati ragazzoni post-comunisti che da un anno a questa parte hanno creato in tutta Italia una buona rete di contatti con le principali arterie rosse del Pd, e che da mesi ormai si sono affermati nel dibattito pubblico attraverso le dichiarazioni, le interviste, le esternazioni, le iniziative, le manifestazioni e le provocazioni dei vari Matteo Orfini (responsabile Cultura), Stefano Fassina (responsabile Economia), Andrea Orlando (responsabile Giustizia), Gianni Cuperlo (capo del centro studi Pd), Nico Stumpo (responsabile Organizzazione), Stefano Bonacini (segretario regionale dell’Emilia Romagna), Katiuscia Marini (governatore dell’Umbria) e naturalmente Enrico Rossi (governatore della Toscana).

Fino a qualche tempo fa, le posizioni dei cosiddetti “giovani turchi” venivano monitorate da alcuni dei più anziani tra i compagni di scuola del Pd con la stessa freddezza, e la stessa diffidenza, con cui gli studenti più maturi generalmente osservano gli scolaretti appena sbarcati nel terribile mondo delle matricole liceali. Mese dopo mese, però, i “turchi” sono riusciti a ritagliarsi uno spazio importante nell’inner circle bersaniano, e nonostante le apparenze e nonostante il montismo coatto che il Pd è stato costretto ad ingoiare in questa fase finale della Seconda repubblica, nelle prossime settimane gli Orfini, i Fassina e compagnia rischiano di diventare sempre di più pedine chiave all’interno della campagna elettorale del segretario del Pd: specie poi se Bersani continuerà a mettere al centro della sua corsa alla premiership l’idea – già esplicitata tra l’altro nel 2009 quando si candidò alla guida del partito – di prendere le distanze da “una finanza sempre più spregiudicata”, di riscrivere “il grande patto nazionale tra capitalismo e democrazia”, di combattere “quel pensiero unico neoliberista che ha influenzato anche tanti riformisti” e di disegnare insomma il Pd sul modello delle (non troppo montiane) nuove socialdemocrazie europee.
Negli ultimi tempi, in realtà, Pier Luigi Bersani ha scelto di marcare una certa distanza rispetto a questi sinistri giovanotti del Pd in seguito alla possibilità evocata proprio da Fassina, Orfini e compagnia di staccare la spina al governo e convocare le elezioni in autunno (“allarme”, se così si può chiamare, rientrato definitivamente la scorsa settimana quando i “turchi”, seppur a denti stretti, hanno riconosciuto il successo europeo di Monti e hanno garantito il proprio appoggio al governo per tutta la durata della legislatura, anche se parlare di “appoggio” rischia di essere persino improprio dato che il fronte di lotta del Pd è formato prevalentemente da esponenti del partito che riescono a farsi forza della propria “autonomia” anche grazie al fatto che molti degli stessi esponenti non siedono ancora in Parlamento).

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foto: Matteo Orfini. (Gian Mattia D’Alberto/LaPresse)