Federer e quelli dei sette Wimbledon
Gianni Clerici racconta su Repubblica i tre tennisti che hanno vinto di più al celebre torneo di tennis, e suggerisce di evitare paragoni
Gianni Clerici oggi su Repubblica approfitta della vittoria di Roger Federer di domenica per raccontare i due tennisti che condividono con lui il record di sette Wimbledon vinti. Sono l’inglese Wiliam Renshaw e l’americano Pete Sampras, e Clerici suggerisce di evitare i paragoni.
WILLIAM RENSHAW Nel corso del Challenge Round del 1881, i 193 spettatori della partita non si stupirono, nel vedere più volte John Hartley alzare gli occhi al cielo. Il vincitore del torneo dell’anno precedente era infatti un reverendo anglicano. Elegantemente impietoso, a batterlo fu il maggiore dei gemelli Renshaw, Willie che, superato l’anno precedente dal meno conosciuto Woodhouse (no, non lo scrittore), aveva avuto accesso al Challenge Round, la Sfida al Campione, vincendo la finale All Comers, il torneo al quale erano tutti ammessi, salvo il Defending Champion, che attendeva l’ultima partita senza scendere in campo. Willie fu il primo a trasformare quello che era denominato servizio, grazie a un dimenticato termine rinascimentale, in una battuta aggressiva, e non meno fece nello smash, colpo sin lì sconosciuto. Nobiluomo, uso a trascorrere le vacanze invernali in Costa Azzurra iniziando una tradizione tennistica e mondana, attore dilettante, ebbe a distinguersi vincendo il titolo dall’81 all’86, e riguadagnandolo nel 1889. Cedette poi il trono al gemello Ernest , sin lì defilato, perché i due sdegnavano incontrarsi in gara. Ma Ernest non potè evitare di batterlo nel Challeng Round del 1988, anche perché non riteneva elegante sottrarsi alle leggi di un impegno morale. Morì purtroppo giovanissimo, come il fratello. William a 43, Ernest cinque anni prima. Di loro fu scritto sul Field, il giornale sportivo dei tempi, che avevano trasformato un passatempo in uno sport.
PETE SAMPRAS Il record di Roger Federer non sarebbe tale se nel 1996 Pete Sampras non avesse incontrato un tipo che nemmeno era Favorito (in dialetto sportivo Testa di Serie) tale Richard Krajicek, figlio di emigrati cechi in Olanda. Quel giorno della quindicina londinese Richard iniziò a decapitare con la battuta i fili d’erba del campo, così che il povero Pete non vinse l’unico titolo tra il 1993 e il 2000. Pete Sampras – ormai lo posso confessare – venne scoperto dallo Scriba nel settembre del 1987, il giorno in cui, nella tribuna stampa di Flushing Meadow, il fraterno collega Bud Collins del Boston Globe mi ordinò di recarmi sul campo N.16, per ammirarvi una certissima promessa americana. Così feci e, di fronte a un tipo piccolissimo e giallo, credetti di intuire la presenza di una Divinità Mediterranea in un altro giovinetto, nero, riccio, e superdotato. Telefonai a Sergio Tacchini, e Tacchini lo mise sotto contratto, adornandolo di magliette e pantaloncini. Si dovette attendere qualche anno perché quell’oriundo greco, che non aveva mai visto l’erba se non in campagna, dovesse ritrovarsi nei sacri recinti del Vaticano del Tennis, come scrisse il mio maestro Giorgio Bassani. Dotato di armi affilate dal Dr. Fisher, uno scopritore di talenti la cui passione sconfinò nella pedofilia, abbandonò un rovescio bimane, il suo colpo meno forte, per un dignitoso colpo mono-mano, e iniziò a dominare sui campi rapidi grazie ad una battuta non certo inferiore a quella del Federer odierno, ad un diritto meno variato dello svizzero ma di certo più potente, una volè destra addirittura più incisiva di quella di Roger (che è meglio a sinistra). Grazie a queste armi divenne imbattibile, con l’eccezione citata, sino al 2000.
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