Il sesso degli atleti
Come alle Olimpiadi di Londra si affronterà una questione vecchia e ancora irrisolta: determinare con esattezza chi può gareggiare con chi
In vista delle Olimpiadi di Londra 2012, che iniziano il prossimo 27 luglio, il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha diffuso un nuovo regolamento per determinare se alcuni atleti con particolari condizioni ormonali possano essere più avvantaggiati di altri nel competere con persone del loro stesso genere. Le nuove regole [pdf] saranno applicate nel caso in cui particolari risultati delle gare vengano contestati dai partecipanti alle competizioni e, almeno nelle intenzioni del CIO, dovrebbero evitare che si verifichino polemiche e controversie come avvenne in passato nel cosiddetto “caso Semenya”.
Mokgadi Caster Semenya ha 21 anni, è nata a Polokwane in Sudafrica, è un’atleta e nel 2009 ha vinto la medaglia d’oro negli 800 metri femminili ai Campionati del mondo di atletica leggera di Berlino. La sua vittoria, ottenuta con un tempo di 1 minuto 55 secondi e 45 centesimi, circa due secondi in meno delle sue avversarie, fu contestata a causa dei tratti mascolini di Semenya, che fecero dubitare sul suo effettivo genere. Considerato il risultato della sua gara, si ipotizzò che l’atleta fosse un ragazzo e per risolvere il problema l’Associazione internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera (IAAF) dispose una serie di test per verificare il genere di Semenya, che comportò anche una sospensione della sua attività agonistica.
Dopo l’esito dei test sul genere, l’atleta nel luglio del 2010 ottenne l’autorizzazione per tornare a competere, anche se i risultati degli esami non furono mai comunicati in rispetto della sua privacy. Semenya si è qualificata anche per i prossimi giochi olimpici di Londra e ha spiegato, attraverso i propri legali, di aver patito molto il periodo in cui i dubbi sul suo genere divennero un caso internazionale molto combattuto e discusso. Il nuovo regolamento per Londra 2012 mira a evitare che si ripetano problemi di questo tipo, stabilendo principi che saranno probabilmente adottati nei prossimi anni anche dalle singole federazioni nazionali di atletica.
Allo scopo di determinare se un atleta possa essere avvantaggiato rispetto agli altri per le proprie condizioni di genere, il CIO ha deciso di valutare i livelli di testosterone. È un ormone presente principalmente nei maschi (è prodotto nei testicoli) e in misura minore nella donna come prodotto intermedio degli estrogeni, gli ormoni sessuali femminili. Il nuovo test consiste, in pratica, nel verificare se i livelli di testosterone nelle atlete sono tali da rientrare nella quantità rilevata negli atleti. Il documento non specifica, però, quale debba essere il valore medio per gli uomini, che probabilmente sarà determinato caso per caso a seconda di diverse variabili.
Se un’atleta risulterà positiva all’iperandrogenismo, cioè la produzione eccessiva di androgeni (il testosterone è un ormone che appartiene al gruppo androgeno), non potrà più competere con i concorrenti del suo stesso genere. Il CIO ha comunque stabilito alcune condizioni ulteriori: dovrà essere dimostrato che l’iperandrogenismo “dà un vantaggio competitivo” all’atleta. È un’importante specificazione, perché non tutte le persone reagiscono allo stesso modo a una eccessiva presenza di androgeni: non è cioè sempre detto che il nostro organismo diventi più forte e resistente grazie a questa condizione.
Gli stessi esperti sanitari che hanno collaborato alla preparazione delle nuove regole ammettono che la soluzione adottata dal CIO non è perfetta, ricordando che comunque da qualche parte un’asticella andava collocata per evitare polemiche e annosi ricorsi. Spiega il genetista Eric Vilain, che ha partecipato al progetto, sul New York Times: «La domanda è: se una donna ha livelli più alti di testosterone rispetto alle altre donne, ha un vantaggio? La risposta è sì. È sleale? No, fino a quando questi livelli sono al di sotto dei livelli più bassi riscontrati nei maschi. In questo caso non dovrebbe essere considerato più sleale di qualsiasi altra dote genetica di ogni altro atleta».
Vilain spiega che i livelli più alti di testosterone registrati in media nelle donne non raggiungono comunque quelli più bassi negli uomini. In mezzo c’è una prateria, salvo i casi in cui una donna nasca con caratteristiche anatomiche sia femminili sia maschili. Anche in questo caso, comunque, non è detto che i livelli di testosterone arrivino a sfiorare quelli medi riscontrabili nei maschi.
I test per determinare l’effettivo genere degli atleti nelle competizioni sportive fecero la loro comparsa nei primi anni Sessanta, quando in Occidente si iniziò a sospettare che il blocco sovietico cercasse di infiltrare atleti di sesso maschile nelle gare femminili. I test furono eseguiti per anni su larga scala poi, complice la fine della Guerra Fredda, la pratica fu meno seguita e nel 1999 il CIO decise di ridurre simili verifiche. Il problema però rimase e rimane tutt’ora perché è molto difficile determinare con certezza i possibili vantaggi derivanti dalle caratteristiche fisiche dovute a particolari condizioni ormonali. Nella comunità scientifica, e non solo in quella sportiva, il tema è costantemente dibattuto e fino a ora non sono state trovate soluzioni in grado di accontentare ricercatori, atleti e responsabili delle federazioni.
Le atlete furono ammesse alle Olimpiadi per la prima volta nel 1900 ai giochi olimpici di Parigi. Molti paesi non inviarono comunque donne nelle loro delegazioni per anni e a oggi ci sono ancora tre nazioni che non hanno mai partecipato con squadre femminili. Sono il Brunei, l’Arabia Saudita e il Qatar, che si sono comunque impegnati a inviare un gruppo di atlete alle prossime Olimpiadi. L’Arabia Saudita lo ha annunciato poche settimane fa, dopo le pressioni del CIO, ma non è ancora chiaro se manterrà la promessa, anche considerati i precedenti.
Stando al regolamento del CIO, la verifica sulla possibile presenza di casi di iperandrogenismo alle Olimpiadi di Londra 2012 potrà essere richiesta dalle stesse atlete preoccupate per la loro condizione di salute, da uno dei medici responsabili dei singoli comitati olimpici nazionali, da un membro della Commissione medica del CIO o da altri responsabili del settore sanitario per i giochi olimpici. L’indagine sarà svolta attraverso la raccolta dei certificati medici dell’atleta e, se non saranno sufficienti le carte, si passerà a una visita medica. Sarà condotta da un ginecologo insieme con un esperto di genetica e un endocrinologo. Dovranno verificare l’eventuale presenza dell’iperandrogenismo e se questo porti o meno a un vantaggio per l’atleta nelle gare.
La decisione del gruppo di esperti potrà essere appellata dall’atleta e dalla federazione nazionale che la rappresenta. L’appello dovrà essere presentato entro tre settimane. L’atleta se si qualificherà potrà comunque partecipare ugualmente alle gare, ma con gli atleti di sesso maschile. Nel regolamento, ricorda sempre il New York Times, non viene affrontata la possibilità per un’atleta di sottoporti a particolari terapie sanitarie per tenere sotto controllo l’iperandrogenismo e concorrere con le altre donne.