Domenica si vota in Messico
Le cose da sapere sul voto e le immagini di un paese stretto tra la gran crescita economica e la guerra al narcotraffico
Domenica 1 luglio si voterà in Messico per eleggere il presidente della Repubblica, la Camera dei deputati e il Senato del paese, oltre a diverse elezioni a livello locale tra cui sei governatori dei trentuno stati che compongono il paese. Il Messico è una repubblica federale (il nome per esteso del paese è Stati Uniti Messicani) governata con un sistema presidenziale: il presidente è capo del potere esecutivo, insieme capo di stato e del governo, di cui nomina i ministri. Il suo mandato dura sei anni e, secondo la costituzione del 1917, non può essere rinnovato.
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Le prossime elezioni riporteranno probabilmente alla presidenza il Partido Revolucionario Institucional (PRI), che ha governato il Messico in una sorta di regime monopartitico per oltre 70 anni fino al 2000, quando venne eletto Vicente Fox del conservatore Partido Acción Nacional (PAN). Anche l’attuale presidente Felipe Calderón fa parte del PAN. Il ritorno al potere del PRI cambierà probabilmente qualcosa nella politica federale, in particolare riguardo alla guerra contro i narcotrafficanti che è stata lanciata da Calderón fin dall’inizio del suo mandato: ma è difficile che il PRI, un partito iscritto all’internazionale socialista e che si richiama alla rivoluzione almeno nel nome, ritorni a essere il “partito-stato” che è stato per gran parte del XX secolo.
La situazione e i candidati
Nonostante i grandi progressi economici del secondo dopoguerra, il cosiddetto “miracolo messicano”, il paese si trascina da decenni gravi problemi di povertà (con una differenza enorme della ricchezza tra le zone urbane e le grandi aree rurali), corruzione e burocrazia. L’economia messicana, comunque, sta attraversando un altro periodo di grande crescita economica, che ha superato nel 2011 anche quella del Brasile sulla spinta delle grandi esportazioni (automobili ed elettrodomestici, in particolare verso gli Stati Uniti).
Nel 2006 Felipe Calderón vinse le elezioni con un margine strettissimo, poco più di mezzo punto percentuale. In politica interna, il suo mandato presidenziale sarà ricordato soprattutto per l’offensiva contro i potenti gruppi di narcotrafficanti lanciata con l’utilizzo dell’esercito, che negli ultimi cinque anni ha causato circa 30mila morti, in particolare nelle zone più vicine al confine con gli Stati Uniti. Questa guerra, comunque, sembra ricevere un tasso di approvazione piuttosto alto tra i messicani e il gradimento di Calderón tra la popolazione, dicono i sondaggi, rimane anche oggi molto alto.
Nonostante questo, la corruzione e la violenza sono rimasti un tratto distintivo della società messicana, e molti elettori sono disillusi della capacità del PAN di riformare realmente lo stato, dopo 12 anni di governo. Il partito, inoltre, ha fatto fatica a trovare un candidato forte che potesse succedere al presidente in carica. Il candidato presidenziale del PAN è Josefina Vázquez Mota, 51 anni, già ministro dell’istruzione sotto il presidente Calderón e ministro dello Sviluppo sociale per tutti i sei anni della presidenza Fox, che è soprannominata la “Bambola quindicenne” perché è sempre sorridente (in Messico, come in molti paesi dell’America Latina, la festa dei quindici anni di una ragazza è particolarmente importante e marca l’inizio della maturità, più o meno come il diciottesimo compleanno in Italia).
Il candidato favorito è quindi il ben più carismatico e telegenico Enrique Peña Nieto, 45 anni ed ex governatore dello stato del Messico che circonda la capitale. Ma a testimoniare almeno parzialmente la disillusione dei messicani, anche lui ha il suo soprannome: “quello carino” o Gel Boy, per la cura indiscutibile con cui si aggiusta i capelli. Il suo compito è provare a convincere gli elettori che il PRI si è almeno parzialmente rinnovato ed è riuscito a togliersi la fama di partito corrotto, solidamente conquistata nei suoi lunghi decenni al potere. Negli ultimi mesi, Nieto è stato quasi sempre in testa nei sondaggi.
Oltre alle scarsissime speranza del candidato liberista Gabriel Quadri de la Torre del PANAL, un partito fondato nel 2005 per iniziativa di un potente sindacato di lavoratori nel settore scolastico, il terzo candidato ad essere veramente in corsa è Andrés Manuel López Obrador, l’ex sindaco di Città del Messico che nel 2006 ha perso per lo 0,6 per cento dei voti le elezioni contro Calderón (da parte sua ci furono grandi accuse di brogli e irregolarità, anche se si è detto convinto che questa volta non si ripeteranno). Fa parte di un’alleanza il cui principale partito è il Partido de la Revolución Democrática (PRD), un altro partito di centrosinistra come lo è formalmente il PRI. A 58 anni, è il candidato più anziano, il che gli ha fatto guadagnare soprannomi poco lusinghieri come “lo Stanco”. La sua campagna elettorale nel 2006 era improntata a un radicale populismo, mentre negli ultimi mesi ha provato a presentarsi con toni più moderati.