Schiavi del popolarismo

Cioè il fenomeno per cui "la qualità della leadership politica declina ogni 100 milioni di nuovi utenti di Facebook o Twitter", secondo Thomas Friedman

Oggi su Repubblica c’è la traduzione di un editoriale di Thomas Friedman pubblicato sul New York Times di qualche giorno fa, sui rischi collegati alla comunicazione delle classi dirigenti – o aspiranti tali – sui social network e sulla loro ossessione per i sondaggi.

La scorsa settimana, mentre mi trovavo in Europa, ho avuto l’impressione che quasi tutte le conversazioni si concludessero con questa domanda, declinata nelle sue diverse forme: perché i leader capaci di esortare il popolo a far fronte alle sfide della nostra epoca sembrano così pochi? Questa penuria di leadership su scala globale ha molte spiegazioni, ma vorrei concentrarmi in particolare su due: la prima, generazionale e l’altra, tecnologica.

Partiamo da quella tecnologica. Nel 1965 Gordon Moore, co-fondatore di Intel, postulò la “legge di Moore”, secondo la quale la potenza dei microprocessori sarebbe raddoppiata ogni 18-24 mesi. Quell’assunto ha resistito bene al passare del tempo. Osservando i leader europei, arabi e statunitensi alle prese con le rispettive crisi, mi domando se la legge di Moore non abbia forse un corollario politico: la qualità della leadership politica diminuisce ogni cento milioni di nuovi utenti di Facebook e di Twitter.

In un mondo di media sociali e telefonini in grado di connettersi alla Rete, la natura del dialogo tra leader e popoli sta cambiando ovunque: stiamo passando da un dialogo prevalentemente a senso unico – dall’alto verso il basso – a uno preponderantemente a doppio senso – dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso.

Ciò presenta numerosi vantaggi: più partecipazione, più innovazione e più trasparenza. Ma è possibile che la partecipazione diventi troppa? Che i leader prestino ascolto e inseguano in ogni momento così tante voci da diventarne schiavi?

Mercoledì scorso, su un articolo di Politico.com è apparsa la seguente frase: «I team elettorali di Obama e Romney passano il tempo ad attaccarsi su Twitter, e contemporaneamente denunciano la prolungata mancanza di proposte elettorali serie. Tuttavia, quando hanno avuto l’occasione di spiegare tutte le loro forze hanno quasi sempre scelto di volare basso».

(continua a leggere sul sito di Repubblica)

Arriva un momento, Luca Sofri su Thomas Friedman, la leadership, la democrazia e la ricerca del consenso