Il reality show epico
Hunger Games è la fusione della tragedia antica «grondante di sangue» e il reality di oggi «pervaso di desiderio e seduzione», spiega Emanuele Trevi sulla Lettura
Emanuele Trevi spiega sulla Lettura il punto di forza di Hunger Games – romanzo adolescenziale scritto da Suzanne Collins da cui è stato tratto l’omonimo film uscito recentemente al cinema – ovvero «una sorprendente miscela di arcaico e di contemporaneo» e una totale fusione tra la tragedia antica, barbarica e «grondante di sangue», e il reality show contemporaneo, «pervaso di desiderio e seduzione».
I miti, gli archetipi, i simboli si comportano un poco, nel loro interminabile viaggiare nel tempo e nello spazio, come quegli aristocratici di una volta che, pur caduti in miseria e costretti a indossare abiti dimessi e viaggiare in terza classe, non perdevano nulla dell’antica distinzione, rimanendo se stessi anche nelle più umilianti circostanze. I miti, gli archetipi e i simboli amano comportarsi con la stessa sovrana sprezzatura. Evitano accuratamente, insomma, le cime dell’arte, dove stanno appollaiati gli Autori, con tutto il loro prestigio. La loro è un’energia impersonale, più simile alle forze della natura che alle fatiche della creazione individuale. E se proprio devono fare capolino da qualche narrazione contemporanea, preferiscono di gran lunga agli artisti gli artigiani, i creatori di tutte quelle laboriose inezie commerciali che, se pure hanno delle ambizioni, le nascondono benissimo.
Da questo punto di vista la saga di Hunger Games è un caso da manuale. E il fatto che si tratti di un racconto consapevolmente destinato a un pubblico di adolescenti anziché diminuirne il significato lo esalta comemeglio non si potrebbe desiderare. Tanto per cominciare, gli adolescenti non sono mai, quando si parla di immaginario,manipolabili con facilità. Le storie che amano potranno essere discutibili se misurate su raffinati metri estetici e filosofici, potranno anche gettare genitori e insegnanti in uno stato di doloroso stupore, ma la molla dell’identificazione non scatta mai invano, e la vecchia catarsi aristotelica, si può starne certi, inizierà ad elargire i suoi benefici psicologici in prossimità del gran finale. Sarà un artigiano e non un artista, ma il tipo di narratore che sa muovere questi fili sottilissimi, trasformandosi nel pifferaio magico di inquieti sedicenni, è di per sé un individuo dotato di poteri eccezionali, che non esiterei a definire magici.