Occhio a non esagerare, con gli “esodati”
Secondo Pietro Ichino allargare eccessivamente questa definizione rischia di svuotare la riforma delle pensioni, ripristinando la situazione precedente
Il senatore del PD Pietro Ichino affronta sul Corriere della Sera di oggi la questione dei cosiddetti “esodati”, che il Post aveva riassunto qui, suggerendo che si stia impropriamente allargando il campo di persone che rientrano in questa categoria e che questo rischi di svuotare la riforma delle pensioni varata dal governo Monti.
Caro direttore,
per decenni ci siamo consentiti di andare in pensione a cinquant’anni accumulando debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito, finché i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di restituire il tutto. Così, di colpo, come per effetto dello scoppio di una «bolla», la drammatica crisi del debito pubblico nel dicembre scorso ci ha costretti a rimettere i piedi per terra.
Fino ad allora avevamo fatto finta che con 60 anni di età e 37 o 38 anni di contribuzione un lavoratore si fosse «guadagnato il diritto» alla pensione. Se si considera che a 60 anni gli italiani hanno una attesa media di vita di 23 anni se uomini, 24 se donne, è evidente l’insostenibilità di quell’idea: non è possibile che 38 anni di contribuzione nella misura del 33 per cento costituiscano un finanziamento sufficiente per una pensione pari a tre quarti o quattro quinti dell’ultima retribuzione, destinata a durare per 23 o 24 anni. Il sistema poteva stare in piedi soltanto con un cospicuo contributo dello Stato: ed è infatti ciò che è accaduto per tutto il mezzo secolo passato, nel quale lo Stato ha contribuito ogni anno con l’equivalente di molte centinaia di miliardi di euro al pareggio di bilancio dell’Inps.In realtà lo sapevamo benissimo: tanto che nel 1995 abbiamo fatto la riforma delle pensioni necessaria. Ma l’abbiamo applicata solo ai ventenni e trentenni, cioè ai nostri figli e non a noi stessi. Il governo Monti, appena costituito, ha dovuto fare in due settimane quello che avrebbero dovuto fare i governi precedenti nell’arco di due decenni, estendendo la riforma del 1995 a tutti. Naturale che in questo modo molti di noi cinquantenni e sessantenni siano rimasti scottati; ma la colpa non è del governo che ha gestito lo scoppio della bolla: è di chi per tanto tempo ha lasciato che si gonfiasse.