Perché gli scandali si chiamano “-gate”
Per via del Watergate, e del giornalismo pigro angloamericano (quello italiano invece chiama tutto "-poli")
Per citare solo quelli più famosi internazionalmente, nel giornalismo angloamericano ci sono stati il Climategate (false informazioni sul riscaldamento globale), il Cablegate (i documenti diplomatici diffusi da Wikileaks), lo Hackgate (i giornali britannici che sorvegliavano illegalmente i telefoni), l’Irangate (le manovre illecite dell’amministrazione Reagan per finanziare i ribelli in Nicaragua con la vendita di armi all’Iran), il Sexgate (i rapporti della stagista Monica Lewinsky con il presidente Clinton), e persino l’Antennagate (quando Apple ebbe un incidente di immagine sul malfunzionamento di un nuovo iPhone). In Italia, poi, si è parlato di Rubygate per i rapporti di Silvio Berlusconi con una minorenne marocchina, e ci sono stati altri battesimi del genere: anche se qui da noi una simile deriva è stata presa col suffisso “-poli”, da Tangentopoli in poi.
Ma né il suffisso italiano né quello anglofono “-gate” hanno in realtà nessuna relazione di significato con gli scandali, inchieste, complotti, misteri, per cui i giornali hanno preso ad abusarne. Anche “-gate”, infatti, viene da un singolo caso poi forzosamente esteso: quello dello scandalo Watergate e dell’inchiesta che svelò gli abusi del Partito Repubblicano americano nella campagna elettorale del 1972: da cui vennero le dimissioni del presidente Richard Nixon. E siccome l’inchiesta nacque quando alcuni partecipanti del complotto vennero arrestati per essersi introdotti negli uffici del Partito Democratico ospitati all’hotel Watergate (in un complesso edilizio che ha quel nome trovandosi davanti al fiume Potomac: “Porta d’acqua”), ecco che poi tutto è divenuto “-gate”.