Tra OCA e il MoMA
C'è di mezzo il mare, dice Vincenzo Latronico commentando criticamente l'iniziativa "culturale" presentata dal comune di Milano dopo Macao
di Vincenzo Latronico
Ieri, nella fabbrica dismessa dell’Ansaldo a Milano, ha avuto inizio OCA (Officine Creative Ansaldo), una rassegna culturale di tre giorni che dovrebbe anticipare la distribuzione dello spazio fra associazioni e progetti che hanno risposto a un bando del comune. Dell’ex-Ansaldo si era parlato perché era stata riprogettata da David Chipperfield (quella parte, però, era ancora chiusa), e perché lì era stato offerto di ospitare Macao quando si trattava per il suo primo sgombero. L’offerta era stata rifiutata, probabilmente per non approfittare per decreto di qualcosa che per chiunque altro era accessibile con un concorso; ma la presenza di Macao, se non altro in spirito, era avvertita nella scelta di illuminare le enormi sale dell’Ansaldo con dei neon dello stesso blu che caratterizzava le iconiche immagini della torre Galfa.
La sensazione di dejà-vu, entrando, era fortissima, in un paragone esplicitamente ricercato dagli organizzatori. Anche in questo caso, lo spazio appariva quasi deserto per l’enormità; anche in questo caso il cuore dell’assembramento era il bar; anche in questo caso chiunque avesse un’idea era invitato a proporla e realizzarla in un punto qualunque di quella vasta distesa bianca. Gli spazi al pianterreno erano suddivisi in piccoli “stand” fieristici in cui si esponevano perlopiù autoproduzioni artistiche o artigianali – piccoli dipinti, fotografie, riciclaggio creativo, un po’ come una sagra del fatto-a-mano in un loft. Non stupisce che nessuna delle decine di gallerie e spazi d’arte contemporanea indipendenti a Milano abbia risposto al bando, dato che in contemporanea ad OCA si tiene la fiera d’arte di Basilea, probabilmente la più importante al mondo. Come non stupisce che fossero assenti le molte realtà musicali della città, dato che in contemporanea ad OCA si tiene il MI AMI, il frequentatissimo festival che da anni organizza Rockit.
Per il resto, la programmazione del 14 giugno includeva alcune tavole rotonde tenute in contemporanea alla partita dell’Italia, la proiezione dell’ultimo film di Miranda July e un’intera serata in cui le redazioni di alcuni magazine milanesi avrebbero tenuto le riunioni in pubblico, lì. I tre grandi tavoli dedicati alle “redazioni aperte” sono rimasti vuoti quasi tutta la sera, presidiati da un singolo redattore di Rolling Stone e da una pila di copie gratuite di Abitare, mentre poco distante due ragazze scrivevano 170 tweet per i 200 follower dell’account ufficiale del grande progetto culturale del comune di Milano.
Ecco, il problema era proprio questa ufficialità: nonostante l’aria da centro sociale ripulito (un po’ ipocrita, o lugubremente fuori tempo, dopo Macao), e nonostante l’apparente assenza di regia, in cui l’organizzazione si diceva irresponsabile della qualità dei contenuti perché in fondo dipendeva da chi risponde al bando, e quindi in ultima analisi dai cittadini – nonostante tutto questo, OCA è un progetto comunale di una grande città europea che sostiene di investire molto sulla cultura. Ma di cultura ce n’era poca (anche di gente, fra l’altro, forse per un’inadeguata comunicazione); e l’iniziativa sembrava pensata più per funzionare per chi ne leggeva che non per chi vi andava, che si trovava in un enorme spazio pieno (no, vuoto) di cose di cui, in fondo, poteva benissimo fare a meno.
La stessa accusa è stata rivolta (giustamente, peraltro) a Macao: ma quella che in un gruppo di lavoratori dell’arte è un’ingenuità, diventa una tragica mancanza di senso delle proporzioni quando a commetterla è l’amministrazione dell’unica grande città d’Italia che non ha un museo d’arte contemporanea. Lasciate che loro facciano Macao. Voi fate il MoMA.