Quanti sono i derivati nel mondo
Che cosa c'è di vero nella tesi per cui alcuni strumenti finanziari hanno un peso spropositato rispetto all'economia reale
di Davide De Luca
Un dato che viene citato molto spesso, a testimonianza del peso squilibrato che la finanza ha nell’economia mondiale, è quello secondo cui alcuni strumenti finanziari hanno un valore complessivo molto superiore a quello del prodotto interno lordo del mondo intero. E in effetti, secondo le stime ufficiali, la cifra lorda di tutti i derivati in circolazione nel mondo è di 637mila miliardi di dollari. Nove volte il PIL dell’intero pianeta.
Roberto Sommella, vicedirettore di Milano Finanza, ha parlato durante una delle ultime puntate di Servizio Pubblico di “una gigantesca astronave aliena che fa ombra a New York”, dove la città è l’economia reale e l’astronave aliena la massa immensa di titoli derivati. Un concetto ribadito lunedì 4 giugno da Enrico Livini su Repubblica. Tra gli altri che hanno messo in guardia dall’ipertrofia dell’economia “virtuale” su quella reale anche l’ex ministro Tremonti. Il problema, spiega Mario Seminerio, analista finanziario, editorialista del Tempo e del Fatto Quotidiano e gestore del blog Phastidio.net è che questi sono conti lordi “profondamente fuorvianti e mai rappresentativi della vera esposizione al rischio”. E poi c’è anche il caso delle cipolle americane.
Che cosa sono i derivati
La definizione di titoli derivati è molto ampia. Il tratto che tutti i derivati hanno in comune è che sono titoli il cui valore “deriva” da qualcos’altro: due persone si accordano e scommettono sull’andamento dei prezzi di una materia prima o di un tasso di interesse. Sono derivati sia i titoli basati sui mutui subprime sia i contratti futures sulla vendita di pomodori (quelli che c’entrano con il finale di Una poltrona per due). Molto più di frequente sono titoli agganciati all’andamento del cambio di una moneta, di un tasso di interesse o sono Cds, ovvero assicurazioni contro la possibilità di un fallimento (qui i dati Bankitalia su quanti e quali derivati ci sono in mani italiane).
Quindi, spiega Seminerio: “Quando io compro un derivato, qualunque derivato, dall’altra parte c’è qualcuno che prende una posizione uguale e contraria alla mia. Già così potremmo inferire che il numero lordo quindi è, intuitivamente, il doppio di quello reale, poiché per ognuno che perde la ‘scommessa’ sul derivato, c’è qualcuno che vince.” Ma non è nemmeno così, spiega ancora Seminerio “perchè nel calcolo delle esposizioni e dei rischi si usano altri totali e altri calcoli. Fino ad arrivare ad una frazione del valore dimezzato”. La vicende è complicata e molto difficile da spiegare ai non addetti ai lavori, ma il risultato è che: “L’esposizione netta risulta molto inferiore al totale lordo, non la metà, ma spesso molto meno”.
I credit default swap
Per spiegare meglio il concetto, Seminerio fa l’esempio di uno dei derivati più diffusi, il Credit default swap. In questo derivato una delle due parti si “assicura” contro l’eventualità di un default di una terza parte (cioè di un suo fallimento). Ad esempio, una banca “assicura” con dei Cds alcuni titoli di stato che acquista. La banca verserà regolarmente un premio all’assicuratore che gli ha venduto il Cds, mentre l’assicuratore si impegna in cambio a rifondere la perdita (con denaro o ritirando il titolo di stato coinvolto) nel caso si verifichi “un evento di credito”, cioè se l’emittente dei titoli fa fallimento.
Nel caso di fallimento, si verifica una ‘asta del credito’. “Nell’asta – spiega Seminerio – le controparti definiscono il ‘valore di recupero’ dell’entità che è andata in default. Chiaramente l’importo massimo di perdita è il complemento rispetto a 1 del valore di recupero. Se tu hai un valore di recupero del 70%, il valore in perdita è del 30 per cento”. In altre parole prima si verifica il valore di recupero, cioè quanto riesco a salvare del mio titolo originario, e poi il rimanente viene versato dall’assicuratore. Quando però si fa il totale dei derivati lordi (l’astronave che sommerge l’economia reale) viene conteggiato il totale del titolo assicurato dal Cds, anche se poi effettivamente l’assicuratore si troverà a rifondere solo una parte di quel totale.
Questo è quello che è accaduto il 9 marzo quando l’Isda (l’associazione dei derivati che si occupa di gestire il mercato dei derivati Otc, quelli scambiati sui mercati non tradizionali) ha decretato il default della Grecia. “Abbiamo letto per mesi editoriali angosciati e vagamente apocalittici – spiega ancora Seminerio – che sostenevano che se fossimo arrivati al regolamento dei Cds sulla Grecia saremmo andati tutti in rovina. Poi alla fine quel valore è stato di meno di 3 miliardi di euro, nonostante il valore di recupero della Grecia fosse piuttosto basso”. La cifra è versata alle controparti dagli ‘assicuratori’ è stata di circa 2,5 miliardi, come ha scritto il Sole 24 Ore.
“Un rischio sistemico in ogni caso c’è”, spiega Seminerio, soprattutto per quanto riguarda la leva finanziaria, cioè l’indebitamento di banche e altri intermediari finanziari. Ma “voler fare dei discorsi a effetto presentando numeri esagerati, numeri lordi, non dà la misura del rischio, anche se poi un rischio effettivo esiste”.
Cipolle e derivati
Per capire come mai però dei derivati non si può fare del tutto a meno, bisogna parlare di cipolle americane. Il derivato nasce come strumento finanziario per assicurarsi contro dei rischi ed è uno strumento che, in teoria, ha il vantaggio di incentivare la stabilità del mercato. Per spiegare il concetto, gli economisti del collettivo Noisefromamerika raccontano nel loro libro Tremonti, istruzioni per il disuso l’aneddoto delle cipolle americane. I titoli derivati futures sono molto utilizzati per le materie prime. Se io temo che l’anno prossimo il prezzo delle arance che produco si dimezzerà rispetto a quest’anno, posso acquistare un futures, con cui mi impegno con un compratore a vendergli, tra un anno, le mie arance a due terzi del prezzo di oggi. Se l’anno prossimo il prezzo delle arance effettivamente dimezzerà, io ci avrò guadagnato.
Temendo che questo sistema potesse portare a speculazioni, negli anni ‘50 un giovane deputato del Michigan e futuro presidente degli Stati Uniti, Gerald Ford, riuscì a far passare una legge che proibiva gli scambi di futures sulle cipolle. Questa legge è ancora in vigore, quindi è possibile vedere cosa è accaduto ai prezzi di una materia prima su cui i derivati sono vietati rispetto alle materie prime per cui quegli strumenti finanziari sono permessi. Dal 2006 al 2008 il prezzo del petrolio è cresciuto del 100% e quello del mais del 300%, mentre quello delle cipolle nello stesso periodo è cresciuto del 400%, per poi scendere del 96% e tornare a crescere del 300% in un solo mese.
foto: AP Photo/Luis Benavides