Il giornalismo empatico
Beppe Severgnini sull'efficacia e i rischi della comunicazione che cerca di capire i suoi destinatari
Sulla Lettura di oggi, Beppe Severgnini scrive della difficoltà di comunicare con efficacia e di raggiungere i propri destinatari, uno sforzo che oggi è di primaria importanza nel mondo della comunicazione: “l’empatia è un dovere e uno strumento professionale: uno dei pochi efficaci, in un mercato sempre più difficile”.
Andrebbe studiato, l’Anticomunicatore. Ci ha provato per iscritto, ci ha provato alla radio, ci ha provato in pubblico, ci ha provato in televisione: ma si è accorto che, quando scriveva e parlava, nessuno reagiva. Si fossero arrabbiate, almeno, le comparse del pubblico pagato! Invece, niente: indifferenti anche loro.
Poi il secolo fresco, i social network e tutte quelle novità eccitanti. L’Anticomunicatore ci si è buttato con un entusiasmo di cui non si credeva più capace. Ma ha dovuto scoprire un nuovo significato di 2.0. Ha riprovato. Punto. Zero, ancora una volta, il risultato. Per anni s’era crogiolato nell’illusione d’essere letto, seguito, apprezzato — nel 1992 erano tanti i colleghi che telefonavano! Arriva addirittura qualche fax.
Cos’è accaduto? Semplice. I nuovi canali professionali — Internet in testa — sono diventati strumenti diagnostici; e hanno rivelato quello che l’interessato, in fondo, non voleva sapere.
Triste: perché l’Anticomunicatore, a suo modo, è un entusiasta. Nel 2003 ha creduto a Second Life, producendo l’Avatar più solitario del web. Nel 2006 s’è emozionato con Facebook, poi frettolosamente abbandonato: pochi amici e — cosa grave — erano gli amici veri. Nel 2009 ha scoperto Twitter, l’ansia del retweet e il contatore ipnotico dei follower. Non aumentavano mai, però. Così un giorno ha scritto un elzeviro furibondo contro la nuova moda, sentendosi Jonathan Franzen. Niente da fare: neppure quello, hanno letto.
Perché alcuni di noi riescono a comunicare e altri no? Perché molti, pur avendo idee originali, non riescono a trasferirle? Perché talvolta il messaggio passa, e altre volte s’insabbia nell’indifferenza?
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