Ezio Mauro e il Vaticano
Il direttore di Repubblica interviene con un lungo articolo sulla storia delle informazioni riservate trafugate, descrivendo scenari e questioni in ballo
Su Repubblica di oggi un lungo articolo del direttore, Ezio Mauro, riassume la vicenda delle carte trafugate in Vaticano e dell’arresto di Paolo Gabriele, contestualizzandola e spiegando perché il protagonista di questa storia è il segretario di stato vaticano, Tarcisio Bertone.
IL VOLO del corvo sulle mura vaticane (dove un tempo s’innalzava nei mosaici di San Pietro la più nobile fenice, simbolo della verginità immacolata ma ancor più della dignità della Chiesa che non muore) è in realtà soltanto il penultimo atto di una battaglia medievale spostata nel ventunesimo secolo. Dunque spettacolare per i media, infarcita di simboli come un romanzo popolare sui poteri occulti, clamorosa nel rovesciamento pubblico di quel “segreto” che è buona parte del mistero della potestà papale fin da Bonifacio VIII che ebbe la cura e la preveggenza, dopo aver nominato il suo cameriere, di non rivelarne mai il nome, per evitare pubblici guai.
Oggi tutto il mondo conosce il nome di Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI finito in una cella vaticana di quattro metri per quattro, con l’accusa di essere l’uomo della cospirazione: appunto il corvo. Ma chi vive all’interno delle Mura sa che la partita è più larga, conta molti protagonisti in più, e soprattutto dura da molto tempo. La vera posta è la Segreteria di Stato, cioè il governo della Santa Sede, la carica ecclesiastica più alta sotto il trono papale. Per cominciare bisogna andare indietro negli anni, alla prima insofferenza organizzata di 15 cardinali contro Tarcisio Bertone, pochi mesi dopo la sua nomina a Segretario di Stato al posto di Angelo Sodano.
A Bertone, fedelissimo del Papa fin dagli anni passati all’ex Sant’Uffizio, nessuno rimprovera incapacità e inesperienza nel ruolo importantissimo che svolge. Piuttosto l’ambizione di occupare spazi altrui (come dimostra il conflitto permanente con la Cei, cioè con Bagnasco, sulla titolarità del “protettorato” da esercitare nei confronti della “cattolicissima Italia”), la disinvoltura nelle relazioni con il mondo italiano della politica e della finanza, i metodi salesiani e sbrigativi all’interno, nella costruzione meticolosa di un sistema di potere.
Contro Bertone si muovono cardinali in gruppo e isolati. Le Eminenze che possono, ne parlano al Papa, com’è successo un anno fa durante un pranzo a Castel Gandolfo con i cardinali Ruini, Scola e Bagnasco; altri gli scrivono; chi non arriva al pontefice, si lamenta negli uffici e nei corridoi. “Qui dentro – dice chi mi fa da guida e mi aiuta a capire – c’è una buona quantità di ricattatori, un numero uguale di ricattati, una massa di employé, e una percentuale ridotta di uomini di fede: tra questi ci sono i Santi, che tengono in piedi la Chiesa. E in questa fase di disorientamento tutti vanno dai Santi, per avere un conforto, qualche certezza”. Anche perché a chi gli ha parlato criticando Bertone, Benedetto XVI ha risposto più volte nello stesso modo: “Noi siamo un Papa vecchio”: come a dire che non ha un lungo orizzonte di pontificato davanti a sé, e non se la sente di rovesciare la governance della Santa Sede, ricominciando a 85 anni con un nuovo Segretario di Stato con il quale non ha consuetudine, proprio lui che ascolta preferibilmente gli uomini con cui ha un’amicizia antica, meglio se storica, comunque collaudata e a prova di inquietudini e sorprese.
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foto: Tarcisio Bertone. (MARCO LONGARI/AFP/GettyImages)